Via Petronia
de Maria Antonietta Sechi

 


Via Petronia
cap.1°

“Mamma possiamo andare a giocare?”
chiese con un sorriso ruffiano e uno sguardo da “bamby” Tea.
Sapeva di avere poche speranza perchè le consegne di sua madre erano ordini
inappellabili.
A volte, quel cinguettio dolce, il visino da bambola della piccola di casa ammorbidiva la severa posizione di mamma Vittoria.
“no, tesoro!” rispose indaffarata davanti all'armadio tra lenzuola e coperte, “ho già spiegato ieri e non si cambia!”
Paolo e Piero i due fratellini maggiori, con le dita incrociate, attendevano il miracolo.
“Mamma ma gli altri bambini stanno sulla strada e giocano, senti il chiasso?” disse Paolo, supportato dal labiale del fratello che, senza suoni, ripeteva le parole.
“Proprio tu, Paolo, osi chiedere il permesso? Arrivi dalla scuola con una nota gli ultimi giorni prima degli esami finali e chiedi di poter andare a giocare?.!” scattò la donna.
Il bambino chinata la testa nascose le sue “mille” giustificazioni. Parole che non avrebbe mai osato ripetere a sua madre perchè gli era chiaro che non avrebbe capito.
“Il maestro parla, parla...bla, bla,bla...la sua voce monotona, stinta, induce sonnolenza....“
Paolo ha il banco vicino alla finestra, il suo sguardo attento e vivace la scavalca per perdersi fuori, sulla strada animata da gente allegra, colorata.
Con la mente rivive flash di vita che lo attirano distraendolo dalla lezione.
Una bicicletta passa spinta dalla forza motrice delle gambe di un uomo che pedalando fa roteare la catena che muove il mozzo a raggiera della ruota e la fa andare. La segue con lo sguardo finchè non sparisce. Ritorna sullo spazio di strada limitato dalla cornice della finestra. Due comari chiacchierano. Non sente i segreti che si confidano ma osserva divertito i loro movimenti ripetitivi come burattini tirati dal filo di un burattinaio che, preso da sonnolenza, va per automatismi memorizzati.
Le donne spostano la sporta della spesa da un braccio all'altro per equilibrare la stanchezza. Ambedue poggiano il peso del corpo ora su un piede, ora sull'altro; nell'eseguire il movimento i glutei prosperosi vanno su e giù come mongolfiere. La cosa più buffa è la mimica dei loro volti duttili che danno manforte alle parole. Paolo riesce a capire anche quando parlano dei loro figli. La mimica delle sculacciate e dei ceffoni è inconfondibile.
Passa il venditore d'acqua con il carro trainato dal cavallo che lascia sullo sterrato della strada lo sterco evaporante. Nonostante “il puzzo” le donne si accalcano per riempire damigiane e bottiglioni. Paolo sorride ricordando la baruffa successa proprio quella mattina tra due donne contendenti il posto “ sono arrivata prima io !” ..”no io ti ho persino vista mentre arrivavi“ e giù tanta botte interrotte dal “banditore” che, con stonate note di una contorta tromba, attira la loro attenzione.
“Sssssss! Silenzio!” si eleva il coro “ascoltiamo le disposizioni comunali nuove e le ultime notizie di “cronaca”. Altro pubblico femminile affacciato al balcone o giù sulla strada si aggiunge per ascoltare le richieste del sindaco, i nuovi ordinamenti comunali ...e qui la parte migliore.
L'uomo, Agnulu detto “Agnulu lu maccu” commenta ad alta voce fatti e misfatti riportati nel quotidiano regionale. “Angelo il matto” non sa leggere”. Quando ritira il giornale dall'edicola il giornalaio gli legge i titoli di cronaca più avvincenti che lui dovrà ripetere per incrementare la vendita del giornale
L'edicolante, però, è un buontempone e ritocca i titoli e ne inventa degli altri per il piacere e l'ilarità delle donne, facendo fare la figura da “scemo” al povero Angelo, da cui il nome “Angelo il matto”
Anche quella mattina Paolo vide le donne piegarsi dal ridere, seppur non aveva udito bene le parole strillate dal “banditore,” gli scappò un gorgoglio di risatella.
Una nocca del dito del maestro sulla testa fu il doloroso invito a riportare “l'attenzione” in classe.
Ripresosi Paolo si concentrò nell'ascolto.
La voce secca del maestro lo rinserì nel binario della noia: “Poichè nella commissione esaminatrice per il passaggio dalla terza alla quarta classe della scuola elementare ci saranno altri insegnanti chiedo, per l'ennesima volta, di non fare brutte figure....bla,bla,bla.” Tutti i giorni i soliti argomenti, le solite raccomandazione e le nocche delle mani minacciose sulla testa degli alunni. Un raggio di sole penetrando dalla finestra surriscaldò l'orecchio di Paolo.
Gli prese male alla testa...quando, una mosca “disgraziata” arrivata a razzo dal giardino si mise a saltellare sul banco...acchiappatala le stacco un'ala costringendola a zampettare nelle linee che il raggio di sole tracciava sul banco. L'urlo del maestro lo gelò.
-Paolo prendi il quaderno e scrivi la nota – Oggi, primo Giugno 1958, mentre il maestro era impegnato per prepararci agli imminenti Esami di Stato per il passaggio alla classe Superiore, io ero distratto dalla lezione, attento a giocare con le mani sul banco.” Dettò con tono di voce così “imperioso” che tutti gli alunni ammutolirono.
Scritta la nota la portò dal maestro che la firmò aggiungendo: “asino!, ritorna al posto e stai attento.!” nel dirlo gli passò, ancora una volta, le nocche delle dita sulla testa!”
“Menomale” pensò Paolo “che non ha visto la mosca!!”
Il pensiero lo sollevò poiché sentiva di aver alleggerito le punizioni.
A casa aveva ascoltato ulteriori sgridate accompagnate da qualche sberla e minacce pertinenti le vacanze estive e le uscite per giocare con gli amici sulla strada.
La mamma, consultatasi con il babbo, aveva introdotto il “regolamento orario
estivo”: quello prima degli esami di Paolo in terza e di Piero in quinta e quello dopo la chiusura delle scuole.

Secondo cap.
La lavandaia

“Appena terminato il pranzo” aveva spiegato chiaramente mamma Vittoria, “farete un riposino pomeridiano di due ore!”
“ma mamma sono troppe! I nostri amici dormono solo un'oretta...!”
“Io penso a voi, all'educazione dei miei figli, gli altri bambini hanno i loro genitori!”
“dopo” proseguì la donna con tono che non ammetteva obiezioni: “fino alla chiusura della scuola si studia e sarete interrogati tutti i pomeriggi!”
“e a giocare?” la interruppe Piero “avrete un'oretta dopo le sei! ... tanto le giornate stanno allungando sempre più. Terminati gli esami e visti i risultati potrete giocare dalla cinque fino quando non rientrerà il babbo dall'officina!!”
Piero : “perchè non possiamo giocare anche adesso fino al rientro del babbo?”
“Perchè devo scaldare l'acqua e strigliarvi per benino dentro la tinozza, quando arriverà il babbo sarete già in pigiama...!” “ah!” -continuarono la tiritera i bambini -“ poi si cena ,attenti a non sporcarci e subito a nanna...!”
“certo, domani si va a scuola riposati e freschi...punto e basta!” concluse la donna riprendendo fiato come se, invece di un discorso, avesse fatto una maratona.
Non molto entusiasti i bambini acconsentirono. Non avevano altra scelta.
La mamma terminò di sistemare nell'armadio i panni che zia Maria Santa aveva riportato indietro, dopo averli lavati al fiume e stirati con i ferri da stiro riscaldati sul fuoco, nella sua modesta casa.
Zia Maria Santa, quando riportava i panni lavati e stirati che mamma Vittoria gli aveva affidati, si tratteneva sempre un po' per riposare e chiacchierare davanti ad un caffè che le veniva offerto.
Era una povera vedova, analfabeta e con due figli. Spesso i ragazzi seguivano la mamma aiutandola a scrivere in un foglietto il nome della signora e l'elenco con il numero dei panni che tale signora le affidava.
Lavare i panni al fiume era l'onesto faticosissimo lavoro che le garantiva cibo e sopravvivenza per lei e i suoi amati figli. La lavandaia abitava in un'unica camera nel quartiere antico fatto di case basse molto più simili a grotta che ad abitazioni.
Per accedere alla sua vi era un gradino consumato dalle pedate. Appena entrati occorrevano dei minuti perchè gli occhi si abituassero al buio. Nella grotta non vi erano finestre e nemmeno corrente elettrica.
L'occhio, una volta abituato, scorgeva sullo sfondo un letto grande senza testata ma rivestito di lenzuola e coperte che profumavano di lavanda selvatica.
A sinistra del letto vi era un tavolo, quattro sedie impagliate e dietro la porta
d'ingresso priva di serratura, un vero lusso per la donna... una cucina a legna sia per cucinare che per riscaldare la camera e i due ferri da stiro con i quali la donna stirava i panni delle signore. Mentre con uno stirava l'altro veniva riscaldato sulla piastra della cucina. Alla destra, poco distante dal letto, una modesta tenda separava i servizi: tre vasi da notte sistemati su tre pezzi di tronchi di legno , ciascuno ricoperto da un sacco di juta, onde evitare la fuoriuscita di cattivi odori. In un angolo un vecchio contenitore con coperchio, una volta destinato all'acqua per la cucina, fungeva da bugliolo. Mamma e figli vi rovesciavano il contenuto dei vasi e l'acqua del catino, poggiato su una vecchia sedia, dove si lavavano. Poi a sera inoltrata, la donna svuotava il bugliolo in una griglia di raccolta di acque, poco distante dalla dimora. Completava l'arredamento un armadio a tre ante con in mezzo un avanzo
incerottato di specchio. Ogni anta aveva una funzione specifica. Nella prima la federa bianca con il pane , le deliziose marmellate fate con le sue mani e provviste donate dalla generosità delle famiglie a cui prestava servizio con impegno.
Nella parte centrale dell'armadio, vi era tutto il modesto, rattoppato corredo della donna, i vestiti della famiglia. La terza anta conteneva tutto l'apparato da cucina e avanzava spazio.
L'ordine regnava profumando di onestà e pulito Zia Maria Santa era la bontà personificata.
Molto affezionata a Signora Vittoria e ai suoi figli, aveva trovato in loro quel rispetto che nonostante la sua umile condizione meritava, ma spesso non trovava.
Anche quel dopo pranzo era presente quando mamma Vittoria dettava ordini ai suoi.
Zia Maria Santa provò ad intervenire “Signora Vittoria, le dia più tempo per giocare soprattutto a Tea, lei non ha esami!”
“no, no Maria!” rispose la mamma“ anche Tea eseguirà le consegne , non si muore, in fondo si tratta solo di due settimane!”
“allora, signora Vittoria, oggi la posso portare con me? Non sarebbe la prima volta!” propose la donna con un sorriso che avrebbe convinto anche un sasso.
Tea: “ si, si ti prego mamma, mandami con zia Maria Santa...farò da brava!”
“basta così!” interruppe la mamma, poi rivolta alla donna:
“Maria oggi è il primo giorno che mettiamo in pratica questo orario perciò Tea starà con i fratelli. Sai benissimo che ti affido volentieri Tea perchè sei una persona brava, affettuosa, pulita e a Tea piace tanto stare con te, qualche volta ha dormito anche nel tuo lettone...!”
“è vero mamma! Si sta tanto bene nel lettone di zia Maria Santa.”
“ Se farai la brava bambina un'altra sera che zia Maria vorrà potrai andare a dormire da lei...però oggi no!”
“Lo sai mamma che io da zia Maria non ho paura?”
“perchè dovresti aver paura? Chiese la madre“ sai, a casa sua non c'è serratura nella porta!!” rise davanti a un'attonita mamma Vittoria “come?”
“Ma si, zia Maria ci fa dire il Rosario e le preghierine con la porta aperta per far entrare la luce della luna, poi accende una candela e chiude la porta fissandola con le sedie!”
“ma dai sciocchina! ...su, su” invitò la mamma battendo le mani “pipì, lavarsi le mani e riposino!”

3° Cap. Mamma Vittoria

“siamo pronti per il riposino?” chiese la mamma Mamma Vittoria si era sposata giovanissima. A ventitre anni aveva già tre figli.
Inesperta come tutti i genitori, non conosceva né affetto, né guida di madre poichè orfana da piccolina. A diciannove anni trovandosi tra le braccia il suo primo bambino pianse. La levatrice pensò che piangesse solo di felicità, ma la neo-mamma sfogava nel pianto la gioia d'esser mamma, il non aver avuto accanto la sua mamma, la preoccupazione di non essere all'altezza del compito di mamma.
Imparò in fretta perchè diciotto mesi dopo fu ancora mamma. Ancora diciotto mesi e nacque Tea. La giovane mamma annaspava tra panni, fasce, e bottigliette per il latte, malattie infantili, dentini che spuntano, mal di pancia...e mai uno per volta, tutti insieme.
Fu a questo punto che entrarono a far parte della famiglia zia Maria Santa per
occuparsi del bucato completo della famiglia e non solo di quello di spessore e Angelina per aiutare nelle faccende di casa e nell'accudire i bambini.
Angelina era una ragazzotta alta e di ossatura grossa, nata da famiglia poverissima.
Sua madre pregò mamma Vittoria perchè la prendesse a servizio in cambio di vitto, alloggio e qualche capo di vestiario.
Questa forma di affidamento, negli anni successivi alla fine della guerra era
abbastanza usuale.
Il disagio economico della Nazione, reduce dal conflitto mondiale, si ripercuoteva sulle famiglie che seppur districandosi nella povertà continuavano a tenere in piedi un comandamento del regime decaduto: “ sfornare figli”. Tante famiglie impossibilitate a mantenere i propri figli li proponevano al servizio di altre famiglie chè li avrebbero aiutati a crescere dignitosamente.
Angelina aveva dodici anni quando mamma Vittoria la prese in consegna. Per lei fu come avere una figlia un po' più grande. Si faceva aiutare nelle faccende domestiche, in piccole consegne come andare a comprare il latte, recarsi dal calzolaio ma soprattutto, la ragazza seduta sopra un tappetto nei giorni freddi e fuori nel cortile nei giorni che lo permettevano, giocava con i bambini.
Nonostante fosse alleggerita nel lavoro, mamma Vittoria dovette organizzare la gestione della famiglia con gli annessi.
Questo la fece maturare velocemente. Fermezza, correttezza, rispetto delle regole era lo schema su basava il suo metodo organizzativo ed educativo.
Amava i suoi figli e sperava di vedere realizzati in loro quei sogni che la guerra aveva interrotto e resi irrealizzabili in lei. Studiare , avere un diploma.
Rientrata dalla cucina dove ad Angelina aveva dato disposizioni per il pomeriggio, mamma Vittoria chiese:
“siete pronti?
Paolo non si aggiunse al “si” corale di Piero e Tea
“Paolo, hai fatto la pipì, ti sei lavato le mani e il viso?”
“adesso vado mamma!” Corse fuori nel cortile seguito dalla voce della mamma “ma che hai fatto fino adesso?...quando rientri ti tiro le orecchie!
Paolo non la sente neanche. E' già davanti al “servizio”. Mette le mani in tasca e conta fino a sessanta, tirando dei sassolini alle lucertole che, scappano tra le folte foglie dell'edera arrampicata sul muro accanto alla vasca dell'acqua dove avrebbe dovuto lavar le mani. Arrabbiato borbotta “ accidenti al sonnellino e mille accidenti alla scuola. Gli altri a giocare io a dormire e poi studiare, studiare! Perchè sarò nato così disgraziato?”
Dalla finestrella della cucina gli arrivò, come quella del grillo parlante a Pinocchio, la voce di Angelina “sbrigati a rientrare altrimenti oggi ti ritroverai con le orecchie lunghe come l'asino”
“si come l'asino!! Angelina si dice come quelle dell'asino!” la corresse Paolo “dillo pure come vuoi ma se non ti sbrighi saranno pure botte".
Il ragazzino rientrò
Lo stesso pomeriggio Piero e Paolo, mentre mamma Vittoria faceva le veci e le voci dei maestri, sbirciavano l'orologio a cucù appeso alla parete.
Sul punto di scoccare le cinque i due fratellini
“mamma la pipì!” dissero chiedendo un sottinteso permesso di poter andare al bagno.
“vi scappa insieme???” “siii” fu la risposta
“insomma sempre sul più bello!..va bene ma fatela nella griglia dove scorre l'acqua piovana così fate in fretta!”
“si, così ci vedono dai terrazzi vicini!”
“andate al servizio e sbrigatevi!” si arrese la mamma.
“Il servizio” era una stanzetta ricavata sotto una tettoia nel cortile. Si entrava da una porticina e nella parete di fronte vi era una finestrella senza vetro. Sfiatatoio “fai da te”.
D'inverno la pipì scendeva a ghiaccioli e d'estate accompagnata dal ronzio dei
mosconi che festeggiavano sul davanzale la goduria dei profumi.
I veri servizi a disposizione erano una tazza ed un modesto lavandino con sopra lo specchio del comò della nonna.
Sotto la tettoia due vasconi di granito raccoglievano sia l'acqua piovana che l'acqua comprata dal rivenditore che passava per le strade.
I due bambini corsero lungo il cortile, Piero si recò nella carbonaia, prese un pezzetto di carbone e segnò sulla parete la striscia obliqua che il sole, penetrando da una tegola rotta, segnava sulla parete.
“ E vai!” si abbracciarono allegramente i due fratelli. “abbiamo segnato le ore
cinque, così non chiederemo ogni pochi minuti - che ore sono? - alla mamma”
“eviteremo d'innervosirla!”
“non ci punirà impedendoci di uscire”
Sciacquate le mani nel vascone del bucato corsero a fare pipì nella griglia.
Quello era il vero angolo per fare pipì. Svaniva tutto dentro la griglia evitando di raccogliere con un secchio l'acqua dalla vasca, portarla al gabinetto, asciugare quella caduta per terra, riportare il secchio al suo posto.
Tutto tempo rubato al gioco.

4° Cap.
Finalmente si gioca.

“ La bella lavanderina che lava i fazzoletti per i poveretti della città”..
Tea saltava sulla corda che Anna e Pina giravano al ritmo del canto.
Il saltellare richiedeva una particolare abilità nell'eseguire le regole concordate prima.
“fai un salto!”
Tea scavalcò la corda, leggermente sollevata da terra, poi le due ragazze rotearono per tre volte la corda per aria, mentre, Tea accovacciata ad occhi chiusi, contava mentalmente i giri, “fanne un altro!” …
Tea si sollevò velocemente e riuscì a scavalcare la corda.
Era il pezzo più difficile da eseguire, poiché richiedeva un'abile coordinazione tra il ritmo del canto, i tre giri della corda sospesa in aria e lo scatto per rialzarsi , saltare la corda nello stesso attimo in cui ritoccava terra.
Quello solitamente era il punto dove si “cadeva” e chi saltava cedeva il “testimone” alla compagna che attendeva il turno.
“Che fortuna!!” strillarono le bambine
Il loro vociare si confuse con quello dei maschietti, impegnati in una guerra tra due “bande di...” sceriffi, banditi, soldati, trappers....si improvvisava. La fantasia ricca di stimoli e ingegno non mancava in quella scuola di vita che era la strada.
Tea riprese a saltellare “la bella lavanderina”... Era felice, finalmente fuori a giocare.
Quando mamma Vittoria diede il “via libera” al gioco, Piero e Paolo presero per mano la sorellina e con passo da “bravi bambini” salutarono la mamma che, raccolto il cesto con il suo lavoro all'uncinetto, si accingeva a raggiungere le altre mamme riunite nel cortile già impegnate a chiacchierare.
Appena fuori dallo sguardo materno, i tre cominciarono a correre, si separarono per saltare, due per volta, i gradini verso la libertà.
Tea raggiunse le compagne che lanciando il sasso piatto (imbresthia), giocavano a Paradiso. Piero e Paolo dovettero impegnarsi per scovare i nascondigli delle due bande opposte, in agguato dietro cantonate, porte e cortili giù fino alla piazzetta del mercato.
Le bambine avevano pressapoco la stessa età, solo Anna e Pina erano maggiori di due anni. Erano loro che tenevano l'ordine nel gruppo, regolavano i giochi, i turni, le discussioni e i bisticci. Erano già impegnate in quello che sarebbe stato il loro “naturale” ruolo di mamma.
“ciao Tea, finalmente!”...Tea salutò osservando i dieci rettangoli del “paradiso”
Erano tracciati con un sasso appuntito sulla strada sterrata.
La bambina si rese conto che le caselle erano state tutte conquistate dall'abilità delle amiche nel lanciare il sasso e nel saltellare su una gamba. Ne rimase delusa.
Pina, notato lo sguardo intervenne “dai, cambiamo gioco?”
“si,si! Un altro. Dopo breve discussione decidono per il gioco della corda.
“ambarabàcicicocò tre scimmiette sul comò...” si fa la conta per stabilire i turni, si seguono le regole di un altro gioco.
“La bella lavanderina...” riprende a saltellare Tea
Uno sparo sfuggito al gruppo dei maschietti soldato, la colpisce. La bambina cade per terra piangendo lacrime di fango, per la polvere sollevata. Solo un moderato strillo di dolore accompagnò la caduta, perchè se lo avessero udito le mamme, avrebbero richiamato ciascuna i propri figli in casa, accompagnandoli con una democratica dose di sculacciate alle più piccole e sgridate alle maggiori, ritenute responsabili del controllo della situazione.
Non erano le botte o le sgridate a fare paura ma proprio il rientrare a casa prima del tempo previsto.
Agli strilli, le due bande dei maschietti bloccato il gioco, si avvicinano al gruppo delle bambine. Alcuni hanno il fucile sulla spalla, altri lo tengono tra le mani con la “canna” abbassata, le tasche dei pantaloni sono rigonfie. In una vi sono sassolini, biglie di terracotta e di vetro, nell'altra c'è la “marroccura” (trottola di legno), dalla tasca posteriore o dalla cintura pendono le fionde. I ragazzini hanno un atteggiamento “convinto,” interpretano seriamente il ruolo scelto, mimando i personaggi delle strisce dei fumetti: Black Macigno, le giubbe Rosse, Capitan Miki...
Il loro fucile, rigorosamente colorato con il lucido da scarpa, è forgiato su un pezzo di legno sfregato con carta abrasiva. Il grilletto è una molletta, presa dal filo dei panni, fissata con “elastici affettati” da una cameradaria di bicicletta . “Le pallottole” sono elastici fissati in tira,tra la canna e la molletta.
Tea aveva ricevuto una “tiralasticata” pungente.
“come va Tea?, dove ti abbiamo colpito? Dai scusa, non piangere!”. Chiesero
preoccupati.
Sollevatala, si accorsero che la bambina si sfregava una natica.
Dal gruppo si udì una risatina. Stizzita Tea li imbonì“ siete stupidi!”
“Dai non offenderti! ...senti ti regalo la mia pallina portafortuna!” disse Giulio mortificato per quella risata irriverente, intanto porge a Tea una pallina pesante e
dura, di fattura artigianale. Una preziosità.
Ogni maschietto andava fiero del suo “talismano” costato ore di fatica.
Tea ne era consapevole perchè aveva dato una mano a Paolo per preparare la sua. La bambina, di nascosto della mamma, prese le forbici dalla macchina da cucire, seduta accanto a Paolo in un angolo del giardino, aveva tagliato tantissimi cerchietti di cameradaria di bicicletta. Intanto Paolo scelto un sasso abbastanza tondeggiante lo avvolgeva nella carta ruvida del pane per dargli una forma ancora più tonda, quindi, cominciò a rivestire il tutto con i cerchietti intrecciandoli l'un l'altro. La palla dura e pesante era un “giocattolo” proibito dai genitori insieme alla trottola di legno a forma di pera (marroccura), dove il “picciolo era un chiodo appuntito. Così anche la fionda.
I ragazzini trovavano i momenti per esibirsi con il lancio della trottola o ad usar la fionda lontano dall'attenzione dei genitori. I padri impegnati nel lavoro non badavano ai giochi dei figli, le mamme avevano il loro daffare, ogni tanto lanciavano uno sguardo dalla finestra. Nelle giornate soleggiate si raggruppavano in un cortile e sedute all'ombra di un albero, chiacchieravano , cucivano, lavoravano a maglia o ricamavano.

cap. 5° I gruppi

Gianni, seccato perchè Giulio aveva regalato uno dei “talismani” che distingueva il loro essere maschietti dalle femminucce, si lasciò sfuggire - “quella pallina non è roba per bambine”
Anna in atteggiamento di difesa “noi sappiamo usare meglio di voi i vostri giochi e non ci facciamo del male...guardatevi le ginocchia!...tutte piene di ferite e croste su croste!” disse indicando le gambette dei bambini che fuoriuscivano dai pantaloncini corti, portati in ogni stagione.
Gianni: “ma vaiii! noi siamo trappers, veri soldati ...mica ..oh quante belle figlie madama Dorè za,za,za,za,za,za,za”...canticchiò beffeggiando una canzoncina che le bambine animavano come composte damigelle.
La guerra era iniziata.
Maschi e femmine si affrontarono a colpi di parole.
“ma quali trappers e veri soldati!... ma se portate ancora i calzoni corti come i
bambini che vanno all'asilo dalle suore!”
Intervenne una pungente Lidia toccando il tasto dolente dei maschietti dai dieci anni in su.
Anche Piero si sentì colpito. Da qualche mese chiedeva a mamma Vittoria di fargli indossare pantaloni lunghi.
“ma stai scherzando” lo aveva redarguito la donna “ne devi mangiare pane prima di portare i calzoni lunghi ed esser uomo”.
“mamma, ma io mi vergogno a mostrare le gambe con i peli!”
“ma quali peli?, rise la donna toccando il viso del figlio maggiore. “i veri peli ti cresceranno qui.... ti vestirai da uomo quando potrai fare la barba”.
Dopo quella risposta, una volta alla settimana, Piero si recava nella casetta dei “servizi” e chiusa la porta, rasava le guance imberbi con il rasoio del padre. Salito sopra uno sgabello per arrivare a vedersi nel vecchio specchio del comò della nonna metteva la massima attenzione nel praticare il consiglio di Agostino, fratello quindicenne di Anna che gli aveva insegnato il segreto per far crescere in fretta la barba.
I toni elevati della disputa richiamarono la sua attenzione.
“ allora perchè vi intromettete quando giochiamo a “uno,due, tre...stella” o ai passi degli animali”?ehhhh ????..poi beffeggiando la voce di Gianni, Lidia continuò a infierire ...”fateci giocare, anche noi vogliamo giocare!”...concluse motteggiando l'atteggiamento di un Gianni supplice.
Giuseppe - “brutta smorfiosa! Quando vi facciamo l'onore di giocare con voi, vi dimostriamo che siamo i più forti...infatti vinciamo sempre noi....weeeee!- girò intorno a sé stesso come un indiano con lo scalpo di un nemico in mano
Maria “è vero voi vincete quando giochiamo insieme..ma perchè?.. perchè barate...fate i furbi, io ho visto Carlo che suggeriva le lettere a Teo quando giocavamo all'impiccato”
– “si è vero,” confermò Anna - vi spiate i segreti del gioco con i segni..e quando giochiamo a “dov'è l'anello ?” voi lasciate cadere l'anello sempre tra le mani di un compagno vostro, così noi non giochiamo mai”
Paolo ripetette tutta la frase rifacendo il verso ad Anna
Lei prontamente, con la mano sollevata - “ di, bellobè, lo vuoi uno schiaffo!”
“e dammelo, parola di trapper ti stendo!”
Si respirava aria da prima linea sul fronte.
Si udirono ancora qualche “strega” ...“asino hai preso una nota a scuola” ….la situazione sta per precipitare quando l'inviata speciale Angelina urlò dalla finestra “adesso vengo giù con un bastone e un secchio d'acqua così prima vi pesto e poi vi rinfresco! ”
I bambini scapparono ridendo.
I maschietti seguirono Giancarlo verso la piazza del mercato al grido - “avanti trapper la vittoria è nostra!”
Le bambine seguirono Anna dentro la sua casa fino al cortile.
Sulle panche, illuminate dalla lieve luce di un avanzato pomeriggio, le attendevano le collane di minestrina a forma di stelline che avevano fatto il giorno precedente.
Anna – le nostre collane!!!!-
Maria: “la mia non è colorata....mi aiutate a colorarla?
Il gruppetto si organizzò. Riempiti alcuni bicchieri d'acqua vi misero in ciascuno un pezzetto di carta velina di differente colore. Attesero che l'acqua si colorasse.
Tanto bastò per dimenticare i bisticci con i maschietti.
Magari fosse così anche per gli adulti. Spesso, i cortili alle spalle delle case erano in condominio. Ogni minima scusa era buona per dimenticare le ore trascorse insieme, momenti di gioia o dolore condivisi venivano spazzati via in un momento, da una marea di parole offensive che nessuna delle due parti pensava realmente. Sembravano scaricare in quella rabbia qualcosa di bestiale, reminiscenze di primordiali in aggregazioni di gruppo, pretese territoriali.
I bambini pagavano il prezzo dei litigi tra adulti: la separazione dagli amichetti..-” non lo devi frequentare più...non lo salutare neanche”-
E' un sabato di fine Autunno.
Lo squillo del telefono arriva fin sul terrazzo dove Tea sta curando le piante.
Suo marito si affaccia alla porta finestra “c'è tuo fratello al telefono!!”
Tea sorride, non ha dubbi. ..”pronto Paolo??”
la sua risata e un “ehilà! Sorella!!! sei pronta?”
Tea ride...”dimmi tutto!”
“avete del caffè?
“per che ore sarete qui?” chiede la donna perchè da sempre Paolo annuncia così il suo arrivo.
“se ci prepari il caffè e tuo marito accende il fuoco arriviamo con il pesce fresco, appena comprato sul peschereccio a Portotorres!” sottolinea. Tea è al settimo cielo “ah...scordavo di dirti che porteremo con noi la piccolina!”
“ Vittoria???...wowwww...non tardate!!!”
Per Tea Portotorres è via Petronia, la memoria del suo passato.

Cap. 6° Ricordi

Ora, nel tempo autunnale della vita, Tea sorseggiando il caffè dopo pranzo, propone spesso il gioco del - ti ricordi quando? -
- Quando pestavamo i tappi delle bottiglie di birra? -
- si!!, dopo aver tracciato, con il carbone, una linea retta per terra spingevamo con l'indice ed il pollice il tappo perchè raggiungesse la linea.
- E quando con un vecchio cucchiaio di rame avevamo scavato nel pezzetto di terreno antistante l'orto un cunicolo sinuoso dove facevano scorrere le biglie?
- ricordi le palline di terracotta?
- ahahah...come no? Quanto con Piero mi facevate i dispetti io ve le schiacciavo con i piedi -
- una volta ce lo siamo anche meritato!-
- grrrrr...quando avete coricato sulla griglia della raccolta delle acque la mia bambolina e ci avete fatto sopra la pipì...criminali!-
- però l'abbiamo pagata...quante botte il babbo e la mamma...e tu che strillavi come se ti avessimo uccisa...!-
- Ti ricordi il sabato sera dedicato al “lavaggio generale!”-
- Quasi una cerimonia d'immolazione sull'altare della pulizia.-
- Dai vasconi del cortile si raccoglievano secchi d'acqua per portarli nella cucina.
Angelina coordinava i turni, altrimenti litigavamo perchè portare il secchio d'acqua era la parte più divertente del rito.
Riempito un “calderone” di metallo con la mamma lo sollevavano per metterlo sul fornello a scaldare l'acqua
Quando era calda al punto giusto, Angelina con una pentola la coglieva per versarla in una tinozza di terracotta smaltata di verde.
- Mamma Vittoria ci aggiungeva un pugno di semini simili al grano, non si era mai capito se fossero utili per la pelle o simboli anti-malocchio.-
Con te che eri la piccina di casa iniziava il rito strofinamento spugna e sapone
“Palmolive”-
- e le prediche di mamma Vittoria?- “ maschiaccio!” guardati le ginocchia sbucciate....bla,bla,bla..dopo un po' non la sentivo più.-
-“ certo ,eri abbastanza brava a far orecchie da mercante!”-
-“ma no, credo d'essere un'”assenteista” nata. Da sempre ho avuto la capacità di erigere un muro sordo, cieco, muto...isolante tra me ed una realtà noiosamente ripetitiva.-
“-si,si...adesso fai la filosofa?...mamma diceva che facevi il maialino sordo!”-
Ridono
- Io ricordo che con le mani cercavo di acchiappare le bolle di sapone che sorridevano
colorate dai raggi del sole.-
- Piero, però era il più fortunato, entrava per ultimo nella tinozza.-
“ehi Tea guarda!” mi dicevi “ lui si frega anche le nostre bolle!”
“- si!” rispondevo invidiosa ... oggi gliel'hai messa nell'acqua la coda della lucertola?”-
-“non ne ho presa, però gli ho messo una cimice puzzona!”-
-“ che schifooo!”-
-“non preoccuparti prima l'avevo schiacciata dentro un foglio di giornale...!”
“Se lo sa la mamma?”- e si rideva come matti.
Via Petronia: una via lunga e larga, perpendicolare al corso, a quattro passi dalla
piazza del mercato, brulicava di bambini. Le loro voci, grida, risate, mettevano allegria. Le case l'una di fronte all'altra, seppur scrostate emanavano calore di affetti condivisi, di parole scambiate, di mani tese, di buon vicinato ...e si..buon vicinato.
Tutte le parole dette, tutti i dispetti scambiati nei momenti di tensione...svanivano di fronte a “un minimo bisogno” I bambini che nascostamente avevano continuato a frequentarsi, proseguivano il loro crescere alla luce del sole, sulla strada dove non passavano macchine ma qualche bicicletta e i carri dei venditori di acqua, di terraglia, l'arrotino e...Signor Filuccio con il carrettino dei gelati.
Via Petronia, maestra di vita, pensò Tea, chiudendo la porta dopo aver salutato Paolo che ritornava a quella Portotorres d'oggi, a lei così sconosciuta.

 

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