La leggenda della foca monaca
di Pietrino Monni

 

 



Tanti anni fa nel paesino di Calagonone vivevano due fratelli, il più giovane era un abilissimo pescatore, l’altro faceva il muratore. Tutte le sere, quando il tempo lo permetteva, Giovannino andava a pesca con la sua barca. Non si allontanava troppo dalla riva, in genere stava a un paio di miglia dalla costa, le luci delle case gli servivano come punto di riferimento. Ritornava all’alba e quando c’era un po’ di nebbia, cercava le punte della montagna, in particolare quella del monte Bardia, il massiccio calcareo sopra il paesino di Calagonone. Quando sbarcava, toglieva il pescato dalle reti, lo metteva nelle cassette di legno piene di ghiaccio e poi con il furgoncino andava a venderlo a Dorgali o a Orosei. I giorni in cui non andava a pesca, rassettava le reti se c’era qualche strappo, ogni tanto andava al bar centrale ad ascoltare le balle degli altri pescatori. Un giorno, proprio uno di quelli in cui non usciva con la barca, ascoltò con molta curiosità il racconto di zio Totò. Questi era un vecchio pescatore, sempre in compagnia di un altrettanto vecchio cane, mezzo spelacchiato, sporco e forse carico anche di strani animaletti che gli saltellavano sulla coda. Aveva abbandonato il lavoro da pochi anni e viveva della carità degli altri pescatori, ma nessuno quanto lui conosceva i fondali di tutta la costa. Ogni tanto lo sivedeva al porto, salire sulla sua barchetta e andare a pesca di polpi e di gamberetti, non lontano dagli scogli. Il racconto di zio Totò mi aveva tanto incuriosito, p er il semplice fattoche non sembrava del tutto privo di un fondo di verità. Diceva che quando qualcuno si avvicinava ai grottoni di Calaluna si sentivano dei muggiti provenire dall’interno, così terrificanti che facevano rabbrividire chiunque volesse fare la conoscenza di questomisterioso animale. Diceva anche che qualche pescatore che ci aveva provato era ritornatoal molo con le reti completamente sfasciate. Tutti i pescatori del circondario avevano
sentito questi muggiti, proprio come diceva zio Totò e anche i pescatori più coraggiosiavevano paura ad avvicinarsi ai grottoni. Venivano alla mente mostri fantastici: chi diceva che questi buoi avessero la testa umana o che al posto delle zampe avessero delle pinne e ogni giorno che passava venivano aggiunti altri particolari. Dopo un po’ di tempo le acque vicino a Calaluna erano diventate tabù per tutti i pescatori, i quali preferivano girare al largo da quella zona, tirando fuori la scusa che non erano zone pescose o che i fondali erano troppo bassi. Giovannino quella sera era rincasato rimuginando il racconto fatto da zio Totò. Intanto l’estate stava finendo e anche il pescato lentamente diminuiva, perché con la sua barchetta non poteva certo affrontare il largo. Un giorno in cui aveva pescato soltanto pochi pesci da zuppa o quei pesciolini detti “diavoletti”, che lui ributtava prontamente in acqua, decise di avvicinarsi ai grottoni, sapeva che quei fondali erano pescosi, proprio perché non ci andava mai nessuno. Ma la fortuna non era proprio dalla sua parte; il tempo stava cambiando e il cielo si era rannuvolato nel giro di pochi minuti.
Decise di tornare a casa, quando di colpo scoppiò un forte temporale. Il vento gli strappò la vela e lo spinse alla deriva, la barca si schiantò sugli scogli e lui cadde in mare. Giovannino raggiunse a fatica la spiaggia, nuotando tra le onde del mare in tempesta. Un altro pescatore sarebbe sicuramente annegato, ma Giovannino era un abile nuotatore e riuscì a salvarsi. Sebbene fosse terrorizzato all’idea di brutti incontri, si fece coraggio e si rifugiò nel grottone più vicino e ancora tutto intirizzito cercò riparo all’interno. Era bagnato fradicio, ma all’interno della grotta c’era abbastanza caldo, si tolse i pantaloncini e la maglietta, si coprì con la sabbia come potè e provò a dormire. Ma quella notte non riuscì a prendere sonno, pensava alla barca distrutta e soprattutto agli abitatori dei grottoni.
Stranamente non sentiva i muggiti come nel racconto di zio Totò. Al villaggio tutti pensavano che Giovannino fosse annegato, ma il fratello era sicuro che fosse ancora vivo.
La mattina seguente andò al molo, di fronte alla spiaggia centrale e scrutò l’orizzonte, sperando di vederlo arrivare a bordo della sua barca. Giovannino, al sorgere del sole, uscì dalla grotta, sperava che un’imbarcazione passasse di lì e di sicuro l’avrebbe notato.
Quando ecco che, proprio dalla grotta in cui lui si era rifugiato e aveva passato la notte, ne uscirono i famosi muggiti del racconto di zio Totò. Il giovane pescatore non si perse d’animo e si avvicinò con cautela alla grotta. I muggiti provenivano dalla parte più interna della grotta ed erano amplificati dal vuoto che si creava all’interno, come in una cassa di risonanza. Penetrò all’interno dove c’era ancora visibilità e quale fu il suo stupore quando vide gli autori di questi strani echi. Sdraiate sulla sabbia c’erano una decina di foche, lunghe poco più di un metro, completamente nere tanto da confondersi coi massi, alcune allattavano dei piccoli appena nati. Nonostante la sua disavventura, un sorriso spuntò sulla faccia di Giovannino, non vedeva l’ora di raccontare a zio Totò e a tutto il paese la pericolosità e la mostruosità dei tanto temuti buoi marini. Superata la sorpresa uscì di nuovo fuori per vedere se passasse qualche imbarcazione e farsi riportare a casa, ma l’attesa fu vana, come ben sapeva, quella parte della costa era evitata dai pescatori. Si fece coraggio e s’incamminò su per il costone ripido al disopra dei grottoni. Era una bella mattinata, un sole abbastanza caldo lo aveva rinfrancato e gli aveva dato le forze necessarie per raggiungere il paese. Attraversando il monte, per un sentiero appena abbozzato dalle capre, annusava il profumo del mirto e delle piante secolari di ginepro e respirava a pieni polmoni l’aria salina, che si mischiava al profumo delle piante. Dopo un paio d’ore, di buon passo raggiunse il paese e la notizia del suo arrivo si sparse immediatamente non solo nella marina ma anche a Dorgali. Giovannino quella mattina non riuscì neanche ad arrivare a casa, lo portarono di peso, come un trionfatore, nel bar centrale di fronte alla spiaggia. Fuimmediatamente accerchiato da decine di facce incuriosite, che volevano ascoltare in che modo fosse riuscito a salvarsi nella tempesta, come avesse fatto a raggiungere Calagonone.
Ma quale fu la sorpresa degli ascoltatori quando lui svelò il mistero delle “grotte del bue marino” e l’incontro ravvicinato che lui aveva fatto. Giovannino non avrebbe mai immaginato i danni che avrebbe comportato, nei giorni successivi, quella rivelazione.
Infatti, già dal giorno dopo, ci fu un via vai di pescatori e di curiosi che andarono a pescare a poche decine di metri dai grottoni, altri addirittura penetrarono nei grottoni, uccisero a colpi di bastone le foche che vi trovarono dentro e le riportarono come trofei a Dorgali. Le avevano collocate sopra i cofani delle macchine e giravano in tutto il paese, suonando iclacson, come facevano i cacciatori di cinghiali, quando ritornavano dalle battute con i loro. Ormai era diventata un’abitudine per i pescatori di Dorgali e di Orosei, quando non prendevano molto pesce, andavano a caccia di foche nei grottoni, anche perché la loro carne era richiesta in tutto il circondario. Giovannino non si dava pace, mai e poi mai avrebbe immaginato un simile sterminio! Non solo, anche zio Totò gli aveva tolto il saluto e quando lo incrociava per strada, lo guardava fisso negli occhi come per dire: “Io lo sapevo, ma non l’avevo mai svelato, perché volevo proteggere quegli animali indifesi”. Nel giro di poche settimane, le foche scomparvero dai grottoni, come se fossero emigrate verso mari lontani e più sicuri. Anche i pescatori avevano perso il loro buonumore, dopo le abbondanti pescate, soprattutto nelle acque profonde di fronte ai grottoni, tornavano spesso soltanto con qualche cassetta di pesce. Dicevano che le foche si erano rifugiate nei fondali più profondi e che risalivano in superficie per cacciare “il loro pesce” e se tornavano a casa a mani vuote e con grossi squarci nelle reti, la colpa era sicuramente delle foche che, con pochi sforzi rubavano “i loro pesci”. Alcuni si erano attrezzati comprando reti più robuste, più lunghe e a maglie più strette, ma il risultato era sempre lo stesso. Stava arrivando l’inverno, il mare si era fatto sempre più minaccioso, ma i pescatori uscivano ugualmente, anche solo per
poche ore. Avevano bocche da sfamare e non potevano rinunciare neanche a una misera cassetta di pescato. Un giorno uno degli “sterminatori di foche”, con la sua barca si era avvicinato ai grottoni, magari avrebbe portato a casa una delle ultime foche rimaste. Il mare d’improvviso era diventato molto brutto, le onde erano diventate sempre più alte, la barca era diventata quasi incontrollabile e rischiava di andare a sbattere contro gli scogli.
Decise finalmente di tirare su le reti e ritornare a casa, era troppo rischioso continuare la pesca con il mare in quelle condizioni. Ma c’era qualcosa che non andava, non riusciva a tirare su le reti, dovevano essersi impigliate con qualcosa sul fondo. Proprio mentre eseguiva la manovra, un’onda rovesciò la barca e lui si ritrovò in acqua. Cercò di raggiungere la riva, ma un piede si era impigliato nelle reti e lo stava trascinando giù a fondo. Prese un respiro profondo e si immerse, dopo aver sfoderato il coltello che teneva sempre legato alla cintola. Tagliò la rete come potè, ma la visibilità era molto scarsa, a causa anche delle alghe che lo avvolgevano come un lenzuolo, ormai non aveva più fiato.
Prima di lasciarsi andare e aprire la bocca per cercare un ultimo respiro, gli sembrò di vedere una massa scura che girava attorno a lui: era una foca.

 

COSTANTINO LONGU FRANCESCHINO SATTA POESIAS SARDAS CONTOS POESIE IN LINGUA ITALIANA