Il Mio Mare
di Francesca Moro

 


Nel tardo pomeriggio di una giornata estiva, avevo allora quattro anni, il cortile cominciò ad animarsi, uomini, donne e bambini facevano la spola dalle abitazioni al carro, che sostava proprio al centro del cortile con il cavallo già aggiogato, trasportavano provviste e masserizie.
C’era aria di festa, si andava tutti al mare per qualche giorno. Io ero curiosa e piena di aspettativa, cosa sarà mai? Abitavamo in un paese della Sardegna e non avevo mai visto il mare, né avevo la più pallida idea di cosa fosse, ma ero contagiata dall’allegria e l’eccitazione degli altri e non vedevo l’ora di partire.
Ci stipammo tutti sul carro con le masserizie, e due caprette (latte fresco per noi bambini). E via! Per la grande avventura!
Abbandonammo la strada principale del paese passando davanti il cimitero, le donne si segnarono col segno della croce e mormorarono delle preghiere, come buon augurio per il viaggio, affidandoci tutti alla protezione di Dio.
Viaggiammo lungo una strada sterrata, qua e là muretti di pietre sormontati da schegge di vetro, e alte siepi di fichi d’india proteggevano le tancas circostanti. Poi il paesaggio divenne più aperto, l’orizzonte più ampio. Basse colline cespugliose, alla base qualche quercia, sollievo alla calura per greggi e pastori, cedevano il posto a grandi radure. Il verde rigoglioso della primavera sostituito dall’oro estivo. Manciate di rosso sui campi di macchia mediterranea che, con l’avvicinarsi della sera, emanava profumi aromatici. Pareva che le donne avessero aperto le cassepanche della biancheria preziosa, quella piena di ricami, che usano solamente per le feste grandi.
Il vocio e l’eccitazione di noi bimbi andava calando come il sole all’orizzonte. Arrivammo a destinazione che era ormai buio, così non vidi il mare, pensai che mare fosse il nome dello strano posto dove ci eravamo fermati.
Gli uomini aiutarono le donne a sistemare le masserizie dentro delle capanne costruite, su quella che a me parve terra sottile, con canne e stuoie. Poi sistemarono in un angolo tra le rocce un rudimentale gabinetto. Altre famiglie erano arrivate da poco, il clima era festoso e noi bambini giocammo un poco al lume delle lampade a carburo.
Mi piaceva l’odore del carburo. Evocava nella mia memoria i momenti delle riunioni familiari, quando gli uomini tornavano dalla miniera, dopo giorni di assenza, illuminando le stradine del paese con le loro lampade. E noi bambini, felici solo della loro presenza gli correvamo incontro,
paghi di uno stanco sorriso, un abbraccio, una carezza.
Consumammo, quindi, un pasto frugale a base di pane e formaggio e una ciotola di latte di capra appena munto. Stanca del viaggio e dalle novità, cullata dal chiacchiericcio delle donne, mi addormentai.
Un lieve chiarore e il bisogno di andare in bagno mi destarono molto presto.
Intorno solo silenzio, dormivano tutti.
Mi alzai e, senza far rumore, a piedi nudi scivolai fuori, sollevando appena un lembo della stuoia che fungeva da porta.
Il cielo andava schiarendosi, l’aria aveva un odore che mi spingeva a respirare a pieni polmoni. Sulle dune di sabbia c’erano ciuffi di strane erbe piene di minuscoli fiorellini bianchi, mi attardai a raccoglierne un mazzolino per la mamma. Arrivata sulla cima di una duna mi accorsi che tutto intorno a me si tingeva improvvisamente di rosa, alzai gli occhi e… la vidi; una enorme distesa, liscia e rosata senza ostacoli né confini…. pochi secondi e già tutto stava cambiando colore, il rosa cedeva il posto all’azzurro, al blu oltremare, al verde smeraldo, nell’acqua una miriade di scintille d’oro e d’argento. Le dune circostanti sembravano gioielli, i colori dormienti, risvegliati dai primi raggi di sole, si aprivano come code di pavone, si fondevano tra loro in mille sfumature diverse.
Ero immersa in un caleidoscopio in evoluzione, ero… parte di esso. Anch’io mi sentivo luminosa e brillante come una gemma.
Il senso della meraviglia e dello stupore, una gioia immensa, incontenibile, mi pervasero,e immobile davanti al mare m’innamorai perdutamente!
Stavo vivendo quegli attimi come il regalo più bello,non c’era altro da desiderare!
L’incanto per quella profusione di bellezza mi tenne avvinta, i nudi piedini saldati sulla sabbia, quasi avessero radici, ed io con tutta me stessa desiderai che quei momenti di appartenenza non finissero mai.
Era per me, e soltanto per me, quello spettacolo di gloria, ne ero sicura!
Mi riscosse dal mio fantasticare la voce di mia madre, che poggiandomi dolcemente una mano sulla spalla, disse: Francesca, questo è il Mare.
Lentamente, girandomi e guardandola negli occhi, seria, seria, le risposi: E’ bello! E’ mio!

 

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