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La romantica notte
de Antonio Rossi
In una romantica notte d’estate sentivamo il canto delle stelle
lunari
e come due rossi gechi incatenavamo il nostro cuore alle ali degli
angeli,
eravamo in un mondo di fragole di rugiada e di orchidee perpetuamente
bianche,
eravamo leggeri come quel vento di maggio che ci aveva sfiorato i
capelli.
Ritornavamo all’origine della nostra innocenza sicuri di ingannare
la voce del tempo,
vedevamo lucciole che si accendevano per noi e avevamo la forza dei
puledri del sole
e ridevamo, ridevamo di quelle ombre ridicole che percorrevano la
direzione del male,
noi eravamo il sogno che si presenta nelle albe radiose quando la
primavera sboccia.
Noi eravamo la primavera e le nostre labbra si aprivano come petali
di rosa,
dominavamo le parole e i concetti filosofici, eravamo al di là
dei patetici gatti,
pazzi d’amore per le rondini le seguivamo con lo sguardo fino
al mare delle carezze
e lì ci adornavamo di foglie di biancospino e consolavamo le
volpi argentate.
Noi eravamo il canto eterno della vita che nasceva nel giardino del
silenzio,
la soffice neve che ricopre i fili d’erba della morte e i cardi
pungenti,
i cavalli verdi dell’anima che galoppano all’infinito
per scongiurare il sangue,
noi la musica, noi le arpe, noi e solo noi, perdutamente innamorati
della vita.
Noi nella vita, nella nostra vita, sempre inseguita dalla morte,
ma forte
come un ramo d’ulivo che sorregge la iena del tempo appesantita
dal fango,
noi in un tango ballato alla luna, noi la fortuna, la cruna di un
ago di pino,
noi nella vita, nel covo delle formiche, nel nostro giardino, nel
nostro silenzio.
Noi il silenzio che non fa sentire la vita, il silenzio che non fa
sentire la morte,
il silenzio che ti prende per mano e ti posa in un bosco dove piange
una vecchia colomba,
nella penombra di un albero sospeso dai rami cristallo dove si è
rifugiato un elefante gallo,
che si lecca le piume bagnate e depone le uova spaccate dentro i nidi
dei falchi affamati.
Che si lecca i peccati generati in un secolo astratto ripudiato scontato
mai nato,
che si spoglia degli abiti sporchi infilzati nei cespugli sanguigni
dei rovi,
che si azzanna, che maledice le vergini rane, che regala collane di
amianto,
nel rimpianto di uomini stanchi condannati al lavoro forzato nei campi.
Condannati a subire il passato, il presente, il futuro, la rovinosa
caduta di un muro,
le opzioni del nascere in grembo, il presepe spogliato dei Magi, il
clonaggio di Dio,
il drenaggio del sangue, gli usignoli in attesa di un arto, il testardo
violino scordato,
gli intestini del diavolo giallo, il felice vibrare in un prato di
aquiloni bucati dal piombo.
In un romantica notte d’estate sentivamo il canto delle stelle
cadenti.
Noi nella vita, nella nostra vita, nel nostro giardino, nel nostro
silenzio.
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