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Ai margini del
tempo
de Antonio Rossi
Quando i violini della morte suonarono la loro paurosa melodia
vedemmo fuggire nei campi strani esseri dalla coda di lucertola,
erano i cloni stanchi di ibride creature duplicate senza scrupoli,
si udivano urlare nei tramonti, poi urtavano la luna addormentata.
Si rincorrevano infelici come bimbi sbalorditi nel deserto esistenziale,
gli angeli confusi giocavano con loro e le stelle ruotavano impazzite,
le vite erano stanche, le menti erano spente, le anime ingiallite
e gli arcobaleni nascevano deformi con squallidi colori deprimenti.
E come una belva inferocita il male sbranava l’universo,
le folle erano sporche di fango e il sangue arrivava fino al mare,
e dal mare poi sorgeva un’aurora di anguille trapiantate
e le fate ridevano ai margini del tempo sfogliando fiabe stanche.
E le rose diventavano maestosi cigni neri dal collo di corallo,
in un ballo disperato s’avvinghiavano i neuroni di Leonardo,
Einstein maleducato brevettava un gregge di arieti onnipotenti,
Noè riempiva l’arca di coppie omosessuali e transex sognanti.
E il sole ninfomane nel cielo bruciava i giardini dell’amore,
non c’era neanche un attimo per cogliere un fiore per le tombe,
dagli alberi cadevano le fronde e i frutti diventavano ghirlande,
Mengele si svegliò dal suo letargo e riattivò i forni
di Mauthausen.
E nei campi di sterminio si nutrivano di orrendi cordoni ombelicali,
di organismi Ogm e staminali, di carne di ebreo arianizzato,
di baci di Adolf innamorato, di gel della Gestapo, di vergini castrate,
di latte avvelenato succhiato avidamente dal seno di Eva Braun.
Tutto era crudo, generico, astratto, patetico e contorto,
nessuno osava tendere la mano ai mendicanti dal cuore sincero,
il vero diventava falso, il pane diventava nero, l’agnello diventava
lupo,
il tempo si vestiva a lutto, la neve ricopriva i sensi, i gufi erano
contenti.
Tutto era il principio e poi la fine, poi per fortuna la fine fu
il principio,
così arrivò un vento incontenibile e un paradiso di
mandorli imbiancati,
in un volo di usignoli innamorati sembrava ancora chiaro l’orizzonte,
sembrava che alla fonte della vita si potesse ancora bere miele d’oro.
Ma qualcosa ingannava ancora gli occhi e i falchi si leccavano le
piume,
le pecore sentivano i rapaci approssimarsi alle loro carni molli,
ma il gregge era immobile, testardo, ammaliato da Dolly la regina,
l’Eterno penetrava nella lana distruggendo la pelle sovrumana.
E le fate ridevano ai margini del tempo sfogliando fiabe stanche.
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