Sa caccia Moresa
de Vittorio Falchi


Mi trovo ancora a Bonorva, e, vedendo i luoghi della mia infanzia, non posso fare a meno di ricordare come, intorno agli anni 50, malgrado le difficoltà oggettive del dopoguerra, Bonorva, con i suoi 8000 abitanti, godesse di una posizione notevole nel territorio circostante, grazie anche ai numerosi servizi pubblici che poteva offrire alla cittadinanza, essendo dotata di strutture sanitarie e sociali come l’ospedale Giuseppe Manai, farmacie, asilo infantile, orfanatrofio femminile, ospizio per gli anziani, stazione dei carabinieri, la pretura, banche, posta, stazione ferroviaria e linee di collegamento su gomma. Tuttavia soffriva per una gravissima deficienza, la mancanza della struttura pubblica più importante in assoluto: la Scuola.
Stante la numerosa popolazione di giovani e giovanissimi, l’offerta scolastica era limitata alla sola scuola elementare per cui i ragazzi andavano a Macomer per le scuole medie e gli istituti tecnici e a Sassari per i licei e l’università. La maggioranza dei ragazzi, come è facile intuire, interrompeva gli studi al solo conseguimento della licenza elementare.
Inoltre, il paese era totalmente sprovvisto di strutture ricreative tanto che le uniche occasioni di svago erano date dalle feste paesane o da salette da ballo improvvisate da qualche gruppetto musicale come quello dei fratelli Sechi (Laddarosu) o i fratelli Pintore (S’Ebba tzega).
Così che giovani e meno giovani affollavano i numerosi tzilleris esistenti e passavano il tempo giocando a carte e bevendo vino tanto che molti cadevano nella trappola deleteria dell’alcolismo, per cui non era raro vedere per le vie del paese, specialmente nei giorni festivi, numerose persone camminare barcollanti a causa dell’abuso sconsiderato di bevande alcoliche.
In quel tempo un personaggio era conosciuto col soprannome di Sa Caccia Moresa, uomo dedito al vino e spesso oggetto di risa e sberleffi anche cattivi da parte di bande di nullafacenti della nostra cittadina.
Desidero qui presentare uno spaccato della realtà del paese anziché descriverne una condizione idilliaca come fecero altri illustri cittadini come Angelo Dettori e Nannino Marchetti, i quali dedicarono delle poesie a Bonorva, vista più con gli occhi del cuore che con freddo raziocinio.
Mentre dichiaro il massimo rispetto per le persone vittime di questo terribile vizio, manifesto la mia totale avversione all’uso eccessivo di sostanze alcoliche.

 

Sa caccia Moresa

“Oop atterrat Sa Caccia a serigheddu”
e brinchende sas duras iscalinas
nd’essit dae su tzilleri ‘e frades Brinas (*)
e tuccat muru muru dae Mundeddu.

Tragat quartos de ‘inu nieddu
e cun ancas a rughe mesulinas
traessat de piatta sas banchinas
e si ch’istrampat in su ‘e Nicheddu:

“Po...pone a bier (°) a sa Caccia moresa,
pa…pago deo cando nd’apo gana,
chie no buffat mi faghet offesa.

Pista a Sa Caccia Zente pagu sana…”
Leat su ‘olu e colpat cun lestresa
sos mutzighiles a sa tramajana.

 

(*) Tzilleri ubicato nel corso Umberto, dove successivamente esercitava il ristorante ‘Sa Cozziglia’
Da Mundeddu, altro tzilleri a fianco del bar Tisel sulla piazza. Su ‘e Nicheddu, tzilleri di fronte al Tisel sul lato opposto della piazza.
(°) Bier = bere. Il verbo può essere confuso con ‘bier’ vedere. Ma più correttamente il primo dovrebbe essere Bibere e il secondo Bidere. L’elisione della b e della d porta a questa confusione.