Bolotana.
Nel mirino la Asl, che si diffende: "Accuse ingiuste"
"Noi e la malattia, abbandonati da tutti"
Denuncia della moglie di un malato terminale: "Nessun
supporto morale, nessuna umanità"
(L'Unione Sarda 8 maggio 2004)
"Assistere
e accompagnare i pazienti per una degna fine della loro vita: è
uno dei valori che dovrebbe guidare i medici e i loro collaboratori. Ma
io per la vicenda di mio marito non li accuso, così come non me
la prendo con la Asl. La mia è una constatazione che riguarda gli
uomini, le istituzioni, la società". Parte così il
lungo sfogo di Daniela, 38 anni, che di mestiere fa l'insegnante di sostegno.
"Continuo a considerarmi tale, anche se sono passata ad altro ruolo",
racconta, in una delle rare pause dell'abituale menàge lavoro-casa,
in veste di infermiera personale del marito Gianni, 48 anni, agente di
commercio da 34 mesi costretto a letto da una malattia terribile: la sclerosi
laterale amiotrofica, che in una sua variante è tristemente conosciuta
come morbo di Lou Ghering, che ha ucciso tanti ex calciatori: "In
tre mesi mio marito ha perso l'uso dei quattro arti e la capacità
di respirare in maniera autonoma: le sue cellule nervose muoiono in sequenza
e non si rigenerano. Viene colpita la deglutizione, la capacità
di respirare. È per questo che da tre anni vive attaccato a un
macchinario installato in casa nostra". Una malattia incurabile e
tremenda, dalla quale non c'è ritorno. Solo un progressivo sfiorire
e un conseguente conto alla rovescia. "Lo viviamo come tale, anche
se io e i miei familiari facciamo tutto il possibile per rendere questa
situazione sopportabile. Anche se ci hanno portato via tutte le speranze".
Le destinatarie della lamentela, espressa qualche giorno fa in maniera
plateale durante un convegno sulla Sanità nel territorio, sono
le istituzioni sanitarie: "Non possiamo essere complici di propaganda
e disinformazione". Perché? Facile a dirsi secondo Daniela:
"I vertici sanitari si riempiono la bocca di ospedalizzazione domiciliare
e di assistenza continua, quella che nel nostro caso non esiste proprio".
E giù, come un fiume in piena, esempi concreti: "Non manca
l'assistenza infermieristica. Anzi, la ritengo persino esagerata, visto
che a misurare la pressione e a fare iniezioni abbiamo imparato da tempo
anche noi. Ci manca, invece, un'assistenza psicologica. Qualcosa che ci
faccia considerare mio marito non solo il paziente X, destinato a morire
in brevissimo tempo, ma un uomo. Con i suoi sentimenti e le sue speranze.
L'ACCUSA
"I
vertici sanitari parlano di ospedalizzazione domiciliare, ma il
servizio che hanno istituito non è coordinato con le famiglie"
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E
invece alcuni medici preferiscono dare le loro terapie al telefono mentre
altri, responsabili del servizio di Neurologia, sono due anni che non
si fanno vedere". Accuse gravi, dettate anche da piccole trascuratezze:
"Fino a quando ha potuto muovere il capo, ha usato il computer con
un emulatore del mouse collocato sulla fronte. Ma
i medici preposti non sapevano nemmeno dell'esistenza di un'innovazione
tecnologica del genere". Fino al rimpianto più bruciante:
"Quindici mesi fa c'è stata la possibilità di farlo
visitare da una ricercatrice dell'Università di Torino che, per
conto del Ministero, studia questa malattia. C'era anche la possibilità
di sottoporlo a un trapianto di cellule staminali. Ma da Nuoro non hanno
mai risposto alla mia domanda, nonostante mi fossi detta disponibile a
sostenere tutte le spese necessarie".
Al distretto sanitario di Macomer conoscono bene la situazione di Gianni
e Daniela: "Non possiamo far altro che comprendere lo sfogo - dice
la dottoressa Simonetta Clemente, responsabile del servizio di Neurologia
- ma il trasporto a Torino è stato giudicato non effettuabile dall'équipe
di rianimatori che ha in cura il paziente, senza considerare che altre
patologie in atto avrebbero comunque reso impossibile l'accesso al protocollo
di sperimentazione. Per quel che riguarda l'assenza di assistenza dico
che si tratta di un'accusa ingenerosa: le nostre visite si sono diradate
in quanto dichiarate non gradite dalla signora Daniela. Per quel che riguarda
la riabilitazione, da due anni abbiamo offerto nostro personale, ma la
signora ha deciso di procedere con un fisioterapista privato".
Anthony
Muroni

Chiedo
ancora ospitalità in questo giornale per alcune doverose precisazioni
riguardanti l'articolo apparso sabato 8 maggio c.m., relativamente alle
affermazioni fatte dal responsabile del servizio di Neurologia.
Al distretto sanitario di Macomer la situazione mia e di mio marito non
la conoscono affatto e soprattutto non possono comprendere ciò
che sbrigativamente liquidano come "sfogo".
Riconosco, oramai, fin troppo bene gli atteggiamenti di pseudo empatia
e compassione, che nel suo significato originale significa "soffrire
con", condividere la sofferenza, quindi avvicinarsi al malato e ai
familiari e comprendere molto di più ciò che provano. La
vera compassione è per pochi, per coloro cioè, che sono
fisicamente, emotivamente e affettivamente vicini a chi soffre. Mi rendo
conto che questa è solo una sfumatura che tutti non possono cogliere.
Detto questo, ricordo alla dr.ssa Clemente che le sue visite si sono ridotte
ad un numero di due prestazioni in tre anni. La prima ufficiale, effettuata
domiciliarmene, su richiesta scritta da parte del medico di famiglia,
ed erogata dopo tre mesi dalle dimissioni, di mio marito, dal reparto
di Anestesia-Rianimazione del nosocomio di Nuoro, avvenute nel settembre
2001. L'altra visita, nell'inverno 2003, effettuata sempre a domicilio,
ma non in mia presenza, in modo improvvisato e quindi non concordata da
me.
Non capisco, pertanto, come io possa aver dichiarato "sgradita"
la presenza della dr.ssa essendoci incontrate personalmente una sola volta
e in circostanze così tristemente drammatiche per me, dove i pensieri
correvano in un'altra direzione, ben lontani dal fare dimostrazioni di
"non accettazione" con lei.
Tuttavia penso che, l'essere graditi o non graditi, non permetta alla
dr.ssa Clemente di sottrarsi a quello che è il suo dovere di medico,
squisitamente specializzata per tale patologia, giacché la prestazione
erogata non era diretta a me, ma a mio marito, persona bisognosa di cure,
nonché suo paziente per territorialità.
L'altra precisazione riguarda la proposta di riabilitazione, offerta telefonicamente
dalla dr.ssa e quindi senza una valutazione oggettiva del paziente da
parte del medico per un eventuale programma riabilitativo.
Sappiamo bene che la fisioterapia, se tempestivamente e appropriatamente
attuata, previene complicanze come la denutrizione, i dolori muscolari
e articolari, riduce la sofferenza, migliora la qualità di vita.
Ricordo, però, alla dr.ssa che mio marito è affetto da SLA
(sclerosi laterale amiotrofica) da tre anni, perciò se avesse aspettato
il servizio propostogli a suo tempo, avrebbe perso un anno di riabilitazione
con il rischio di andare incontro a tutte le complicanze precedentemente
citate.
Pertanto fin dalle dimissioni dal reparto di Anestesia-Rianimazione di
Nuoro, ci siamo avvalsi di un professionista serio, competente e disponibile
alle nostre esigenze, in quanto residente nello stesso Comune.
Fatte queste precisazioni, penso sia importante rilevare che in una patologia
neurologica come la SLA, dove le difficoltà sono in continuo divenire,
è necessaria la competenza di molti specialisti per poter programmare
e attuare, in maniera integrata, a livello domiciliare e sul territorio,
gli interventi richiesti dalla malattia, tenendo conto non solo degli
aspetti biomedici ma anche di quelli psicologici ed etici, questi ultimi
quasi sempre disattesi.
Daniela
Careddu
Bolotana,
10 maggio 2004
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