0. Premessa
Nel ringraziare l’Assessorato per avermi invitato a intervenire
su un argomento così interessante come quello rappresentato dalla
situazione sociolinguistica oggi in Sardegna, premetto subito che dirò
delle cose che a taluni potranno sembrare nuove o sorprendenti ma che
non lo sono affatto, se non nella misura in cui un aspetto importante
della realtà linguistica della Sardegna era finora poco noto
o sottovalutato.
In effetti, dovendo parlare della situazione sociolinguistica della
Sardegna settentrionale, di cui mi interesso da molti anni, devo parlare
non solo di sardofonia ma anche di corsofonia e di italofonia.
Le parlate della Gallura, dell’Anglona e della zona di Sassari
non rappresentano, infatti, delle varietà della lingua sarda
bensì dell’idioma della Corsica anche se – ed è
bene precisarlo per quanti disconoscono questo fatto – il gallurese,
il sassarese e i dialetti dell’Anglona non sono propriamente varietà
corse, bensì sardo-corse o, come dicono in Corsica, corso-sarde.
Infatti, la loro sintassi e il loro lessico risentono pesantemente dell’influsso
logudorese che, dopo secoli di convivenza, le ha allontanate per più
aspetti dal ceppo corso oltremontano, dal quale queste varietà
si sono distaccate fin dal medioevo.
Il tempo che mi è stato assegnato per parlare di una serie di
questioni che richiederebbero molte ore di spiegazioni, è davvero
poco e, pertanto, mi avvarrò di numerose immagini che possono
spiegare in un tempo minore ciò che la semplice descrizione verbale
non potrebbe a fare.
La mia relazione si articola in due parti e, più propriamente:
a) la situazione della lingua sarda nelle province di Sassari e Olbia-Tempio
b) la situazione delle varietà corsofone nelle medesime province
1. Situazione attuale della lingua sarda
Non sono passati neanche due anni dall’inchiesta sociolinguistica
commissionata dalla Regione Sardegna alle due università di Cagliari
e Sassari. Tutti conoscono le conclusioni raggiunte da quella inchiesta.
Si tratta di conclusioni che presentano risultati tutto sommato lusinghieri
ma che necessitano di alcune importanti precisazioni.
Anzitutto l’inchiesta in questione si è interessata delle
fasce di età giovanili e adulte ma, di fatto, ha tralasciato
la fascia relativa alla generazione più giovane: quella in età
scolare che ha meno di 15 anni. Non so se si sia trattato di una scelta
voluta o casuale ma questo fatto nasconde una verità davvero
scomoda e, cioè, che soltanto una piccolissima parte dell’ultima
generazione parla in sardo mentre la stragrande maggioranza parla esclusivamente
l’italiano.
Questo dato, apparentemente innocuo, sottende invece a una verità
dirompente. Infatti, esso significa che siamo di fronte a una tendenza
che, salvo improbabili inversioni (e poi vedremo perché) nel
giro di poche decine di anni probabilmente porterà la lingua
sarda all’estinzione.
Perché il sardo dovrebbe estinguersi? Perché tra poche
decine di anni soltanto la generazione che oggi ha oltre 40 anni parlerà
il sardo in misura maggioritaria rispetto all’italiano. La generazione
che attualmente è compresa tra i 15 e i 40 anni parlerà
in larga maggioranza l’italiano e soltanto in minima parte il
sardo. La generazione più giovane, quella che oggi ha meno di
25 anni, parlerà quasi soltanto in italiano e a quel punto il
sardo, in quanto avrà cessato di essere trasmesso dai genitori
ai figli da una generazione all’altra, sarà virtualmente
morto. Certo, quelli che oggi hanno intorno ai 35-40 anni continueranno
a parlarlo ancora per altri 30-40 anni ma a quel punto i giochi saranno
fatti e praticamente sarà quasi impossibile tornare indietro.
Gli studiosi più documentati e quelli che si occupano di lingua
sarda in modo scientifico conoscono bene questa prospettiva. Prospettiva
che forse non è conosciuta altrettanto bene da chi determina
le politiche linguistiche e che ancora si illude che basti stanziare
qualche migliaio di euro in più qua e là per invertire
una dinamica che, al contrario, richiede interventi forti, precisi e
duraturi.
Soltanto dodici anni fa la legge regionale n. 26 sembrava un toccasana
e invece – nonostante l’impegno di alcuni insegnanti volenterosi
e lo stanziamento di risorse finanziarie che nella maggior parte dei
casi sono state sprecate in progetti e progettini che con la lingua
sarda avevano poco a che fare – la situazione è peggiorata
di gran lunga. D’altra parte, la stessa legge n. 26 era già
in ritardo rispetto alla veloce evoluzione della situazione.
Tra breve mostrerò come in certi nostri paesi fin dal 1993 non
vi sono più bambini che parlano in sardo. Eppure si tratta di
paesi dell’interno a economia tradizionale dove fino agli anni
Settanta si parlava quasi esclusivamente in sardo e quelli che parlavano
in italiano erano soltanto poche maestre e qualche impiegato.
1.1 Una inchiesta recentissima
Questa relazione porta delle integrazioni all’inchiesta regionale
dell’anno scorso mirate esclusivamente alla fascia di età
inferiore ai 15 anni. E vuole rappresentare anche un aggiornamento rispetto
a una inchiesta sociolinguistica che avevo effettuato otto anni fa in
tre comuni dell’Anglona i cui risultati, pur essendo stati pubblicati
da due anni, solo in pochi, conoscono [DIA].
La nuova rilevazione è relativa
a 11 comuni della Sardegna settentrionale ovvero a 1 comune ogni 8 comuni
situati nelle province di Sassari e Olbia-Tempio. Ho preso in esame
sia dei comuni costieri sia dei comuni dell’interno e, sul piano
economico, comuni a economia tradizionale insieme a un paio di comuni
a prevalente economia turistica. Se si eccettua il caso di Sassari,
che è l’unica città presa in esame, gli altri 10
centri hanno una popolazione compresa tra i 4.500 abitanti di Ploaghe
e i 1.000 abitanti di Laerru.
Per quanto riguarda l’area
sardo-corsa (cioè sassarese-gallurese) l’inchiesta si rivolge
a 6 comuni rispetto ai 27 comuni corsofoni.
L’inchiesta sulla situazione nelle aree corsofone è ancora
più affinata rispetto alle aree sardofone perché è
relativa non a una sola varietà, come è il logudorese,
ma a due distinte varietà come il sassarese, da un lato, e il
gallurese, dall’altro.
Per il dominio sassaresofono l’indagine si è rivolta a
una scuola elementare di Sassari e, precisamente, alle classi quinte
del quartiere Rizzeddu, un rione dove convivono famiglie che fino a
una cinquantina di anni fa abitavano nel centro storico e famiglie appartenenti
al ceto medio.
Il numero dei comuni indagati (1) rappresenta il 25% del totale ma,
se si considera la popolazione totale, è riferito a un campione
che rappresenta il 75% della popolazione.
Per il dominio galluresefono, i 5 comuni indagati rappresentano il 20%
dei comuni e il 10% della popolazione.
Per quanto riguarda il dominio sardofono, i comuni presi in esame sono
Laerru e Perfugas in Anglona, Ploaghe (patria del celebre canonino Spanu),
Bono in Goceano e Monti al limite tra il Monteacuto e la Gallura.
Il campione degli intervistati è costituito da 330 alunni di
età compresa tra 9 e 11 anni. Di questi, 138 bambini sono sardofoni
mentre 192 sono corsofoni che, a loro volta, si dividono in 114 galluresofoni
e 78 sassaresofoni.
Queste proporzioni non sono casuali. Infatti, tengono conto che le due
province di Sassari e Olbia-Tempio hanno una popolazione complessiva
di circa 460.000 abitanti, di cui circa 200.000 sono corsofoni mentre
gli altri 260.000 sono sardofoni, tra i quali un numero significativo,
in realtà, è costituito da italofoni.
Sarebbe stato interessante prendere in esame un numero più elevato
di comuni ma questo tipo di indagine richiede molto tempo e più
risorse. Nel nostro caso, invece, l’inchiesta è stata realizzata
in poco tempo e gratuitamente grazie alla disponibilità offerta
da alcuni insegnanti di buona volontà.
Per quanto riguarda la zona sardofona, i bambini corrispondono a quelli
delle classi quarte e quinte delle scuola primaria di Laerru, della
classe quarta della scuola primaria di Perfugas, delle classi quinte
della scuola primaria di Monti e della scuola primaria di Ploaghe e
delle classi prime della scuola media di I grado di Bono. In pratica
si tratta dei bambini nati in questi comuni negli anni compresi tra
il 1996 e il 1999. Si tratta, peraltro, di tutti i bambini nati in quei
comuni negli anni presi in considerazione.
A tutti i bambini è stato
sottoposto, in forma anonima, un questionario di 20 domande attraverso
il quale si è chiesto quale lingua parlino; quale lingua parlino
i propri genitori tra loro e quella che i genitori parlano con i figli;
la lingua che usano i nonni con loro; la lingua usata tra fratelli e
sorelle e quella impiegata con i compagni di scuola, con i compagni
di gioco e nei rapporti col vicinato.
Questo primo stock di 9 domande inquadra, dunque, i rapporti di forza
tra sardo e italiano e i principali contesti d’uso.
Un altro quesito mira a conoscere il tasso di bilinguismo.
Altri 5 quesiti mirano a conoscere il livello di competenza della lingua
locale, cioè quanto i bambini siano capaci di parlare, leggere
e scrivere in sardo e la competenza che essi hanno riguardo a pochi
ma importanti campi lessicali.
Altri 4 quesiti mettono in luce che cosa pensino i bambini della lingua
locale, se sono favorevoli o meno al suo insegnamento a scuola e dove
essi vorrebbero che essa fosse parlata maggiormente.
Infine l’ultima domanda chiede loro di esprimere un gradimento
sulle canzoni tradizionali, nel senso che tende a indagare in quale
misura i bambini condividano i valori della tradizione in un campo significativo
come quello, appunto, rappresentato dalle canzoni popolari.
Complessivamente i bambini intervistati
hanno fornito oltre 10.000 risposte. Infatti, in relazione a una serie
di quesiti hanno dato anche anche due o tre risposte contestuali.
1.2 Risultati: il tasso di sardofonia
Per quanto riguarda la sardofonia, i risultati emersi dallo spoglio
dei questionari mostrano in modo chiaro – o, se si preferisce,
impietoso – quale sia l’effettivo stato di salute della
lingua sarda e, in prospettiva, quale sia il destino che l’attende.
Oggi, per ragioni di tempo, riferirò
soltanto sulle questioni più importanti, rimandando agli atti
della Conferenza la pubblicazione della relazione integrale.
Iniziamo dalla situazione più
lusinghiera, che è quella di Bono, dove i 51 bambini delle prime
medie hanno fornito nella maggior parte dei casi una risposta triplice,
nel senso che 44 su 51 affermano di parlare sia l’italiano sia
il sardo. Tra i ragazzi che parlano soltanto una lingua, cioè
il sardo o l’italiano, 5 sono italofoni e 7 sardofoni. Tutti gli
altri, dunque, sono bilingui e questo dato è confermato dalle
risposte successive.
Il caso di Monti è relativo
a un comune del Monteacuto che confina con l’area sardo-corsa.
Anzi, nel settore più settentrionale del territorio comunale
di Monti vi sono delle piccole borgate e un certo numero di stazzi dove
non si parla il sardo ma il gallurese. Il dato di Monti mostra una percentuale
di sardofoni pari al 14,3% ai quali si aggiunge un altro 14,3% di bambini
bilingui; il restante 71,4% è costituito da bambini esclusivamente
italofoni.
Un caso in parte analogo a Monti
è quello di Perfugas che è un comune dove il capoluogo
(con circa 2200 abitanti) è sardofono mentre l’agro (con
poco più di 300 abitanti) è corsofono. Anzi, una minoranza
corsofona è presente anche all’interno del centro abitato
con almeno 200 persone che parlano il gallurese e in diversi casi anche
il logudorese.
La situazione di Perfugas era stata indagata già nell’anno
2000 quando tutta la popolazione scolastica con le famiglie e gli insegnanti
(più di 1000 persone in tutto) parteciparono a un’inchiesta
approfondita che offrì lo specchio esatto della situazione.
Già otto anni fa era emerso che dei bambini della scuola elementare
di Perfugas tre su quattro parlavano in italiano e soltanto un 20% parlava
in sardo e un altro 10% in gallurese.
I risultati dell’indagine odierna confermano sostanzialmente il
dato del 2000 e, anzi, si constata una certa tenuta del sardo rispetto
all’italiano. Non escluderei che questo dato abbia una relazione
con l’opera di sensibilizzazione condotta attraverso l’inchiesta
del 2000 e, soprattutto, nei tre anni di insegnamento sperimentale del
sardo (dal 2001 al 2004). Insegnamento che in seguito, purtroppo, è
stato abbandonato.
Dei 23 bambini nati nel 1998 oggi 14 parlano italiano, 5 parlano in
sardo, 2 sono bilingui italo-sardofoni e 1 parla in gallurese. Quindi
i sardofoni sono il 22% (il 30% se consideriamo anche i bilingui).
Nonostante la sostanziale tenuta durante questi ultimi otto anni, si
tratta di un dato pessimo che, proiettato nel futuro a lungo termine,
equivale all’estinzione del sardo in quanto, come sanno bene gli
studiosi, le lingue che si trovano sotto la soglia del 30% di parlanti
sono, di fatto, in una fase di pre-agonia.
Purtroppo nel Logudoro il dato di
Perfugas non solo non è tra i peggiori ma, anzi, sembra uno di
quelli più lusinghieri. La conferma di questa realtà viene
dal vicino centro di Laerru.
A differenza di Perfugas, che è un centro situato al confine
linguistico con la Gallura ed ha tra i suoi stessi abitanti un discreto
numero di corsofoni, Laerru, nonostante si trovi a soli 5 chilometri
da Perfugas, è un centro-tipo della notra realtà isolana.
Infatti tutta la popolazione risiede nel centro abitato che attualmente
conta circa un migliaio di abitanti.
Il risultato dell’indagine non mi ha sorpreso per niente. Dei
14 bambini nati a Laerru tra il 1997 e il 1999 nessuno parla il sardo.
Questo dato scioccante era emerso già nell’inchiesta del
2000 quando emerse una realtà che nessuno sospettava e, cioè,
che a partire dal 1993 nessun bambino è stato più educato
in sardo ma esclusivamente in italiano. Per il vero, uno dei 14 bambini
saprebbe parlare in sardo perché dall’incrocio con i quesiti
n. 2 e n. 3 del questionario risulta che i genitori con lui parlano
in sardo. Però nessuno dei suoi compagni sa parlare il sardo,
per cui anche lui è costretto a parlare in italiano.
A chi fosse sorpreso da questa situazione dirò che anche in altri
centri del Logudoro la realtà è questa. Per esempio, a
Chiaramonti (altro centro dell’Anglona ma con una popolazione
doppia di quella di Laerru) già una decina d’anni fa tutti
sapevano che tra i ragazzi dell’ultima generazione soltanto uno
sapeva parlare il sardo.
D’altra parte, le risposte
fornite dagli alunni di Ploaghe sono molto simili a quelle fornite dai
bambini di Laerru. Anche a Ploaghe quasi tutti gli alunni della quinta
elementare affermano di parlare soltanto in italiano. Solo 1 dice di
parlare in sardo mentre altri due sono bilingui. Pertanto, si passa
da un minimo del 3,3% a un massimo del 10%.
Questo dato lascia ritenere che nel Logudoro i casi analoghi a quelli
di Laerru, Chiaramonti e Ploaghe rappresentino la norma piuttosto che
l’eccezione.
Questi sono i risultati sulla situazione
odierna relativa ai bambini che parlano effettivamente il sardo. Come
chiunque può constatare, si tratta di dati lontanissimi –
spesso di segno opposto – a quelli che sono emersi dall’inchiesta
sociolinguistica commissionata soltanto due anni fa dalla Regione Sardegna.
Se è vero che oltre la metà della popolazione adulta e,
in parte, di quella giovanile parla ancora il sardo (come è emerso
dall’inchiesta regionale), è altrettanto vero che tra i
ragazzi e i bambini che hanno meno di 12 anni l’uso del sardo
oscilla tra il dato massimo del 46% di Bono (compresi i bilingui) e
lo 0% di Laerru e Ploaghe passando attraverso i dati intermedi di Monti
(14%) e Perfugas (22-30%).
La differenza tra i due tipi di
risultati si spiega col fatto che, mentre la mia indagine si è
rivolta a bambini di età compresa tra i 9 e gli 11-12 anni, l’inchiesta
regionale si è rivolta a giovani e adulti dove si sa che l’uso
del sardo è ancora abbastanza frequente e diffuso. Però
è inutile nascondersi dietro un dito. E’ vero, purtroppo,
che non solo a Laerru, Chiaramonti e Ploaghe ma che nella maggior parte
della Sardegna l’ultima generazione di età inferiore ai
vent’anni parla quasi esclusivamente l’italiano. Ho appurato
io stesso questa realtà attraverso gli studenti che sostengono
l’esame di sardo con me all’Università di Sassari:
è sempre più raro trovarne uno che sappia parlare il sardo.
E, mentre prima facevo lezione in sardo, oggi questo non è più
possibile.
1.2 Risultati
1.2.1 Che cosa pensano i bambini
del sardo e dell’italiano
Le risposte al quesito n. 11 ci danno un quadro attendibile su che cosa
pensano i bambini dei nostri paesi sul valore del sardo rispetto all’italiano.
Sommando i dati relativi alle risposte fornite da tutti i bambini intervistati
emerge che l’81% di essi pensa che il sardo non abbia un minore
valore rispetto all’italiano.
(domanda) Ritieni che il sardo abbia
un minor valore rispetto all’italiano?

Questo dato ha una importanza straordinaria
perché ci consente di fare due considerazioni. Anzitutto, che
i nostri bambini hanno una consapevolezza linguistica insospettata,
forse superiore a quella dei propri genitori.
L’altra considerazione è che gli stessi bambini sono molto
favorevoli a ricevere una educazione linguistica in sardo. Già:
ma chi gliela deve dare questa educazione in sardo se la solita scuola
e ora anche la famiglia fanno di tutto perché i bambini non imparino
ma dimentichino il sardo a favore dell’uso esclusivo dell’italiano?
1.2. Che cosa pensano i bambini
della loro educazione linguistica
Vediamo ora che cosa pensano i bambini della propria educazione linguistica.
Dalle risposte al quesito n. 12 (“Ritieni importante lo studio
delle lingue locali a scuola?”) risulta che il 95% dei bambini
ritiene importante che il sardo si studi a scuola. Si tratta di una
percentuale impressionante e che si presta a diversi commenti.
(domanda) Ritieni importante lo
studio delle lingue locali a scuola?
Commovente è il caso di Laerru
dove tutti e 14 i bambini della classi terze, quarte e quinte ritengono
importante che a scuola si studi il sardo: sono quegli stessi bambini
ai quali i genitori hanno impedito di imparare la lingua della tradizione.
Il 95% dei nostri bambini, dunque, chiede che a scuola si faccia sardo
eppure la scuola ignora quasi completamente questa richiesta. Eppure
le direttive ministeriali impongono ai collegi dei docenti e, prima
ancora, ai dirigenti scolastici di accertare quali siano i bisogni degli
utenti, cioè degli alunni. La legge n. 482/1999, dunque una legge
dello Stato, impone ai dirigenti scolastici delle scuole dove si parla
una lingua minoritaria, di chiedere ai genitori, attraverso le domande
di iscrizione, se vogliono che ai loro figli sia impartita l’educazione
linguistica anche in lingua minoritaria. Ebbene, questa legge che soltanto
dieci anni fa salutammo con entusiasmo è ignorata da quasi tutti
i dirigenti scolastici che, viceversa, si sforzano di imbottire i POF
(Piani dell’Offerta Formativa) di iniziative di ogni genere. Ora
io mi chiedo e vi chiedo: i dirigenti scolastici e gli insegnanti sono
pagati dallo Stato per applicare le leggi dello Stato o per fare soltanto
quello che più gli aggrada?
Nelle nostre scuole si fa di tutto: dall’inglese al teatro alle
attività creative, dai corsi extracurricolari di religione a
quelli di musica e di ceramica. Soltanto in pochissime scuole si fa
sardo e, nonostante la maggior parte delle scuole riceva dei finanziamenti
regionali per la valorizzazione della cultura e della lingua sarda,
il numero delle scuole dove si insegna il sardo sta addirittura diminuendo
rispetto a qualche anno fa.
Sono personalmente a conoscenza che alcuni mesi fa una cinquantina di
utenti ha chiesto a una scuola di fare dei corsi extracurricolari di
lingua sarda e di storia locale con i fondi della delibera della Giunta
Regionale n. 47/29 del 22 novembre 2007. Ebbene queste richieste, presentate
per iscritto, non sono state portate a conoscenza degli insegnanti che
dovevano scegliere quali tipi di corsi extracurricolari attivare. Tant’è
che alcuni di quegli stessi utenti, rifiutati dalla scuola pubblica,
si sono rivolti al sottoscritto per fare un corso serale che, appunto,
si sta tenendo non nei locali scolastici ma in quelli di un municipio.
1.3 Il suicidio linguistico di una
generazione…
I casi tragici di Laerru e Ploaghe, ma anche quelli meno gravi di Perfugas
e di Bono, mostrano che siamo di fronte a un caso di suicidio linguistico.
I risultati dell’inchiesta, anche se sono da verificare attraverso
una indagine a carattere più esteso, dimostrano che la generazione
nata negli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso ha fatto delle scelte
che vanno in modo abbastanza netto contro la propria lingua o, se si
preferisce, contro la propria identità. Si tratta, appunto e
con grande evidenza, di un caso di suicidio linguistico.
Il caso di Ploaghe è clamoroso. Il paese di uno dei più
grandi e appassionati studiosi della lingua sarda, proprio il paese
da cui prende nome una delle forme più note di canto sardo tradizionale
– Sa Piaghesa – si trova in testa alla “lista nera”
delle comunità sardofone che hanno scelto in modo drastico di
abbandonare la propria lingua.
Più avanti, parlando del caso di Sassari, vedremo per quale tipo
di lingua e in nome di quale illusorio progresso questi paesi hanno
abbandonato la propria lingua.
Cercare le cause e i responsabili di questa situazione disastrosa non
è una impresa impossibile. Da un lato c’è una scuola
che in molti casi continua a essere ostinatamente sardofoba (tutti i
bambini di Ploaghe dichiarano di non sapere né scrivere né
leggere in sardo, dimostrando che il discorso della lingua sarda è
ancora off limits nelle scuole di Ploaghe e di molti comuni sardi).
C’è poi un’altra scuola di falsi valori propagandata
dalla TV del Grande Fratello, delle Isole dei Famosi, delle Talpe e
delle Stalle che propala modelli basati sul nulla ovvero sul pettegolezzo
o addirittura sulla delazione che nella società tradizionale
sarda era uno dei delitti più gravi.
C’è poi la famiglia che attraversa un periodo di crisi
profonda, nella quale i genitori nati in gran parte negli anni Settanta
e Ottanta sono quelli che per primi sono stati abbacinati dai messaggi
di una televisione massificante e falsamente democratica, dove occupano
un posto di preminenza le griffes, l’abbigliamento e le auto di
lusso e l’arrivare a qualunque costo a discapito della preparazione
e della serietà.
1.4 … e il riscatto di quella
successiva. La reazione anti-italofona dei giovani
Il quadro che emerge dai campioni analizzati è sicuramente serio
e non induce ad alcun ottimismo. Uno spiraglio di speranza viene, tuttavia,
da un fenomeno nuovo, attualmente in atto, di cui mi sto interessando.
Un numero importante dei maschi appartenenti alla prima generazione
che nei nostri paesi è stata educata in italiano – quella
nata negli anni Ottanta e che ora ha tra venti e trent’anni –
si è ribellata alla scelta dei propri genitori e della scuola
pubblica di cancellare la lingua sarda. Molti di questi ragazzi, che
in alcuni casi conosco anche personalmente, con sempre maggiore frequenza,
da Perfugas ad Aidomaggiore, abbandonano l’italiano e si mettono
a parlare il sardo.
Un signore del mio paese di quasi 60 anni, uno dei primi ad essere stato
educato in italiano (suo padre era il segretario locale del PNF), sposato
con una signora ugualmente italofona, mi esponeva quasi con stupore
che alcuni anni fa il proprio figlio, quando aveva poco meno di vent’anni,
si è messo a parlicchiare in sardo nonostante a casa loro il
sardo non si fosse mai parlato. Ora questo ragazzo, che sta superando
le immaginabili difficoltà di apprendere una lingua esclusa dalla
propria famiglia, parla il sardo con sempre maggiore convinzione e ha
sostenuto con me all’Università di Sassari l’esame
di Lingua sarda in sardo, superandolo brillantemente.
Anche i due figli maschi di un mio amico, educati entrambi in italiano
perché la madre non sa parlare il sardo, una volta raggiunti
i 18 – 20 anni di età si sono messi a parlare il sardo
e ormai, dopo i primi periodi di difficoltà, lo sanno parlare
discretamente con grande soddisfazione del mio amico che, come fanno
ancora molti padri sardofoni (42,5%), parla in sardo ai propri figli
mentre le madri che fanno altrettanto sono soltanto il 22,7%. Clamoroso,
ancora una volta, il caso di Ploaghe dove nessuna madre parla ai propri
figli in sardo.
Forse quest’aria nuova può dare fiato e qualche nuova speranza.
2. Il dominio sardo-corso
Gli organizzatori della Conferenza mi hanno chiesto di relazionare anche
sulla situazione sociolinguistica del dominio sardo-corso, che è
un campo nel quale conduco ricerche approfondite da oltre una decina
d’anni e che io considero un esempio virtuoso che i sardofoni
dovrebbe seguire.
Bisogna distinguere il caso di Sassari da quello della Gallura corsofona.
Sassari, infatti, rappresenta un caso a sé stante, dove il sardo
è quasi una lingua straniera ma dove, come vedremo più
avanti, anche il sassarese è ormai in una situazione largamente
compromessa se non irrimediabile.
La Gallura, viceversa, per certi
aspetti rappresenta quasi un’isola felice ed è seconda
soltanto a Carloforte e Calasetta per numero di parlanti nella varietà
locale.
Dalla mia inchiesta del 2000 risultò
che i bambini del comune corsofono di Erula, che fino a 20 anni fa era
frazione di Perfugas e che si trova soltanto a una quindicina di chilometri
da Laerru, l’85% dei bambini parlavano in gallurese mentre quelli
che parlavano in italiano erano una piccola minoranza.
Anche sulla base di questi dati la mia convinzione sulla grande lealtà
linguistica dei corsofoni ne era uscita rafforzata. E, d’altra
parte, questa convinzione è largamente condivisa da coloro che
in Gallura si interessano di lingue locali e specialmente del gallurese.
Partendo da questo spunto, andiamo a vedere quale sia la situazione
nel dominio linguistico sardo-corso ossia delle zone dove si parlano
il sassarese, il gallurese e altre varietà affini.
2.1 Precisazioni e aggiunte all’inchiesta
regionale del 2006
In quest’altra dispositiva vediamo, più in dettaglio, i
comuni nei quali si parlano, esclusivamente o maggioritariamente, delle
varietà sardo-corse.
E diciamo quali sono queste varietà che in molti spesso riducono
alle due principali, cioè il sassarese e il gallurese. In realtà,
come ci mostra un’altra immagine, alle due principali varietà
bisogna aggiungere quelle intermedie dell’Anglona e il maddalenino
o isulanu. La cosa non è priva di importanza perché la
legge regionale n. 26 del 1997 ignora l’esistenza del maddalenino,
associandolo in modo semplicistico al gallurese nonostante il maddalenino
sia un dialetto propriamente corso. E anche le varietà anglonesi
di Castelsardo e di Sedini, che alcuni studiosi considerano galluresi
e altri considerano sassaresi, si distaccano da entrambe queste varietà.
Sarebbe come dire, sul versante sardofono, che l’arborense e il
barbaricino sono logudoresi oppure campidanesi. Invece, bisogna essere
chiari e distinguere quello che è diverso da quello che è
uguale.
Bene, visto che siamo in una fase di inquadramento, occorre precisare
meglio quale sia il dominio geografico delle varietà sardo-corse.
La linguistica richiede sempre precisione
e non tollera le approssimazioni. Quasi come una scienza esatta, descrive
i fenomeni ed è in grado di misurarli con precisione. Naturalmente
se le cose si fanno con metodo appropriato e con la necessaria attenzione.
Senza volere muovere delle critiche all’inchiesta regionale del
2006 sulla situazione sociolinguistica dell’isola e limitandomi
al dominio sardo-corso devo, comunque, fare notare due errori non da
poco. Quando si fa una inchiesta sociolinguistica si utilizzano principi
e parametri statistici che, più sono corretti, e più vicino
il dato finale è vicino al vero. Nel nostro caso, invece, si
è attribuito al dominio gallurese un comune dell’Anglona
come Tergu che parla una varietà più vicina al sassarese.
Un po’ più grave è stata l’attribuzione al
dominio sardofono (logudorese) del comune di S. Antonio di Gallura che,
viceversa, è esclusivamente corsofono. Ora, anche si tratta di
due comuni piccoli, è evidente che i relativi dati – essendo
stati attribuiti a varietà linguistiche diverse da quelle effettive
– in qualche misura alterano i risultati dell’inchiesta.
Sempre parlando di geolinguistica
e statistica applicata alla sociolinguistica, bisogna fare chiarezza
su quali siano gli effettivi domini linguistici del sardo e delle varietà
sardo-corse.
Nella maggior parte dei testi di linguistica sarda vediamo delle cartine
linguistiche che mostrano la situazione che possiamo osservare in questa
immagine. Si tratta di una rappresentazione che non tiene conto dell’effettiva
situazione ma soltanto della generica vigenza di varietà sardo-corse
in un certo numero di comuni della Sardegna settentrionale.
Ebbene, anche un profano può notare le vistose differenze che
esistono tra questo tipo di rappresentazione geolinguistica e questa
immagine dove si tiene effettivamente conto della reale distribuzione
geografica delle varietà sardo-corse.
In linguistica, come accennavo prima, le approssimazioni non sono consentite
perché conducono inevitabilmente a conclusioni incongrue.
Nel nostro caso, questo significa che nel comune di Sassari non si parla
soltanto sassarese, come sembrerebbe dalla prima cartina, ma si parla
anche sardo logudorese e pure in proporzioni significative. Tant’è
che Sassari ha dei quartieri anche popolosi, per esempio Li Punti, dove
la maggioranza dei parlanti in lingua locale non usa il sassarese ma
il logudorese.
In Anglona, il comune di Tergu ha una maggioranza corsofona ma con una
presenza significativa di sardofoni e il comune di Erula non è
sardofono ma esclusivamente corsofono. Anche una parte del comune di
Perfugas, che tutti ritengono sardofono, è invece corsofona.
Lo stesso dicasi per i comuni di Tula, Oschiri, Berchidda, Monti, Padru
e Torpè che nelle cartine linguistiche risultano esclusivamente
sardofoni. E per quanto riguarda Budoni, che grazie anche alla sua collocazione
nella provincia di Olbia-Tempio, molti ritengono corsofono è,
invece, parzialmente sardofono. Alla base di questa confusione forse
è il toponimo di veste gallurese Budoni, ma bisogna ricordare
che nella locale varietà logudorese questo toponimo corrisponde
a Budune.
E, visto che ci siamo, bisogna dire anche che
- Golfoaranci è un comune sardofono non meno che corsofono né
più né meno di Olbia.
- che nel territorio del comune sardofono di Luras si parla il gallurese.
- che perfino in una parte del comune baroniese di Torpè si parla
il gallurese
- così anche nel comune sardofono di Bulzi.
Risulterà più chiaro, così, che una statistica
linguistica non può prescindere dall’esatta conoscenza
della realtà, pena la falsificazione dei dati e dei risultati.
2.2 Sulla collocazione delle varietà
sardo-corse
I dialetti sardo-corsi – forse perché la maggior parte
degli studiosi li considera delle varietà afferenti al gruppo
toscano-corso – non trovano una collocazione adeguata nel contesto
degli spazi che la linguistica italiana dedica al corso.
La stessa linguistica sarda se ne occupa episodicamente, essendo gli
studiosi attratti soprattutto dal sardo. Ciò determina la circostanza
per cui le conclusioni degli specialisti non sembrano portare elementi
decisivi per la risoluzione di talune questioni legate alle strutture,
alla storia e alla posizione di queste varietà nel panorama romanzo.
Eppure queste varietà rappresentano, nel loro insieme, la più
cospicua eteroglossia tra quelle vigenti in Sardegna.
Da un punto di vista prettamente quantitativo, esse vantano un numero
di utenti che si aggira intorno ai duecentomila. Un dato, questo, che
corrisponde a poco meno del 12% della complessiva popolazione sarda
e che si colloca, in una stima approssimata, a fianco degli italofoni
dopo la maggioranza sardofona che, seppure in progressivo decremento,
è stimabile ancora intorno a un milione di utenti.
Sotto il profilo numerico questo dato mette i dialetti sardo-corsi in
diretta concorrenza con quelli della stessa Corsica dove le varietà
locali sono parlate da non più di duecentomila utenti.
Si tratta di numeri che, qualora al corso venisse riconosciuto lo status
di lingua (come in Francia), farebbero delle eteroglossie della Sardegna
settentrionale una minoranza linguistica più numerosa di quella
franco-provenzale della Valle d’Aosta, di quella slovena del Friuli-Venezia
Giulia e che la metterebbero quasi sullo stesso piano della minoranza
tedescofona dell’Alto Adige.
D’altra parte occorre tener presente che la maggiore città
corsofona non si trova in Corsica ma in Sardegna, poiché il dialetto
di Sassari è parlato tuttora da circa la metà della popolazione
ovvero da 50.000-60.000 utenti, cioè da un numero all’incirca
doppio rispetto alla popolazione corsofona di Ajaccio o Bastia.
In una ideale classifica, relativa ai centri del sistema linguistico
sardo-corso che vantano almeno 10.000 utenti corsofoni, la Sardegna
occuperebbe ben sette posizioni rispetto a soltanto tre della Corsica
(in corsivo i centri corsi): 1. Sassari; 2. Ajaccio; 3. Bastia; 4. Olbia
(circa la metà di 50.000 abitanti); 5. Porto Torres, 6. Tempio;
7. Sorso; 8. Arzachena, 9. La Maddalena; 10. Porto Vecchio.
2.3 Sociolinguistica e storia della
lingua
La vastità e la complessità
dei rapporti culturali che la Sardegna e la Corsica ebbero tra il basso
medioevo e l’età moderna è dimostrata, oltre che
da una interessante documentazione storiografica, da circa duemila cognomi
sardi di origine corsa, molti dei quali sono documentati già
nelle fonti medievali e moderne.
L’elemento corso ebbe un ruolo di straordinario rilievo che la
storiografia va progressivamente mettendo in luce. Nelle fonti del periodo
compreso tra l’XI e il XV secolo le attestazioni di cognomi corsi
rappresentano da sole circa il 27,5% della complessiva presenza straniera
documentata in Sardegna. Questo aspetto, poi, si rafforza se lo si rapporta
alla parte settentrionale dell’isola, nella quale l’elemento
corso risulta largamente maggioritario rispetto a tutte le altre componenti
antroponimiche non sarde.
Degli originari gruppi corsi ai quali si deve il radicamento delle varietà
oggi vigenti nella Sardegna settentrionale resta, specialmente nella
Gallura corsofona, una chiara percezione di sé che si estrinseca
con la definizione li Sàldi ‘i Sardi’ con cui i galluresi
indicano i restanti abitanti dell’isola di lingua sarda e specialmente
quelli della parte centro-meridionale. Nei confronti di questi ultimi
la letteratura orale gallurese conosce addirittura dei motti di disprezzo.
Questo atteggiamento, pur essendo meno marcato, non è del tutto
sconosciuto anche a Sassari. Qui i sardofoni sono definiti comunemente
li di li biddi ‘quelli dei paesi’ con particolare riferimento
agli abitanti dei centri minori che cingono a sud la città (Sennori,
Osilo, Ossi, Tissi, Usini etc.). I sardofoni residenti a Sassari e nelle
sue borgate sono definiti accudiddi lettm. ‘sopraggiunti’
rispetto ai sassaresi di parlata corsa che, essendosi sovrapposti all’originaria
popolazione della città da circa cinque secoli, si autodefiniscono
sassaresi in ciabi lettm. ‘sassaresi in chiave’ cioè
‘autentici’ in quanto residenti dentro la città murata
le cui antiche porte, come è noto, ogni sera venivano chiuse
a chiave, per cui chi stava dentro le mura era sassarese ‘in chiave’
mentre chi ne restava fuori non lo era.
2.4 Attività di associazioni
galluresi nel campo della lingua locale
Da alcuni anni nel nord dell’isola sono sorte alcune iniziative
tendenti, con differenti gradi di consapevolezza, alla difesa e valorizzazione
delle parlate di origine corsa.
Anche in questo frangente si osserva una maggiore determinazione nei
galluresi che da una decina d’anni hanno dato vita a una Consulta
Intercomunale Gallurese con sede ad Arzachena.
Questo organismo, composto dai sindaci dei comuni corsofoni e da alcuni
intellettuali, sembra svolgere, in senso gramsciano, un ruolo politico
non meno che linguistico.
Finalità propriamente linguistiche si propone, invece, l’Accademia
di la linga gadduresa fondata alcuni anni fa a Luogosanto dove ha sede.
Ultimamente il dibattito sembra
coinvolgere pure Sassari e i centri corsofoni dell’Anglona anche
se esso, non sostenuto da un’adeguata percezione di appartenenza
linguistica, sembra ripiegare più su questioni formali che su
un chiaro quadro d’intenti.
Il punto di incontro di queste istanze
pare, comunque, costituito dalla volontà di riformare la legge
n. 482/1999 allargandone lo spettro e i benefici alla varietà
storiche della lingua italiana e, tra queste, le varietà di origine
corsa parlate in Sardegna come pure il tabarkino dell’arcipelago
sulcitano.
2.5 L’utenza attuale delle
varietà corsofone
Le variazioni di interesse tra la zona corsofona orientale (Gallura)
e quella occidentale (Sassari, Nurra, Romangia, Anglona) del sardo-corso
trovano delle conferme anche nell’uso che le rispettive comunità
fanno delle proprie parlate.
In Gallura e nelle comunità corsofone dell’Anglona le diverse
varietà locali sono usate sia dalla popolazione adulta che da
quella giovanile in una serie di contesti che vanno dall’ambito
familiare e amicale fino ai rapporti negli uffici pubblici. Ciò
dipende sia dal fatto che il gallurese rappresenta il codice usato dalla
maggior parte delle famiglie sia dal livello di autostima linguistica
che ne hanno gli utenti. Una rappresentazione di questo atteggiamento
può essere offerta dai risultati di un recente monitoraggio condotto
presso la popolazione scolastica del comune di Erula.
A Sassari, invece, ormai la parlata
locale è usata quasi soltanto dalla fascia adulta degli strati
popolari anche per via del fatto che una parte significativa della popolazione,
inurbatasi in momenti diversi dai vicini paesi sardofoni, usa correntemente
il sardo. L’uso del dialetto è più frequente a Porto
Torres e a Sorso.
2.6 I concorsi letterari
L’interfaccia di tale situazione si coglie anche attraverso i
concorsi letterari, il cui numero è cresciuto esponenzialmente
in Sardegna specie durante gli ultimi due decenni.
Questo tipo di iniziativa ha attecchito anche nell’area linguistica
sardo-corsa.
Sassari segue il trend impostosi nel resto dell’isola, per cui
queste manifestazioni sono organizzate soprattutto da comitati di festeggiamenti
patronali e prevedono la partecipazione di opere in qualunque varietà
parlata nell’isola, comprese le stesse alloglossie catalana e
tabarchina.
La maggior parte dei concorsi organizzati in Gallura, viceversa, è
riservata alle sole poesie in gallurese o anche alle opere in varietà
corsa ma non a quelle scritte in sardo.
Un’iniziativa analoga, ma con norme forse più restrittive,
è stata assunta da alcuni anni anche a Sedini.
Si tratta, tuttavia, di iniziative che difficilmente riescono a coinvolgere
larghi strati della popolazione, presso i quali l’uso delle rispettive
parlate, essendo limitato all’oralità come nel resto della
Sardegna, non incoraggia la diffusione delle opere scritte. Non appare
un caso che due tra i maggiori artisti che si esprimono nelle varietà
sardo-corse, cioè Franco Fresi (gallurese) e Giuseppe Tirotto
(castellanese), per le loro opere si servano anche dell’italiano,
forse a causa del ristretto numero di persone che acquistano e leggono
i loro lavori.
La fedeltà dei galluresi
corsofoni e, in misura minore, degli anglonesi corsofoni alle proprie
parlate è proverbiale e rappresenta un esempio che i sardofoni
dovrebbero imitare se davvero vogliono che il sardo non si estingua
nel giro di pochi decenni.
L’orgoglio linguistico dei galluresi corsofoni, poi, in certi
casi sfiora aspetti paradossali e dà vita a veri e propri casi
di sopraffazione linguistica. Per esempio, a Tempio gli abitanti del
posto spesso rifiutano di “capire” quelli che parlano il
sardo, costringendo questi ultimi a parlare il gallurese o, quanto meno,
“tricolore” come dicono in modo eufemistico per obbligare
i sardofoni a non parlare la propria lingua.
Quasi umoristico è il caso dei sardi meridionali che si spostano
ad Arzachena per motivi di lavoro. Di fronte al pregiudizio o all’atteggiamento
antisardofono di alcuni galluresofoni, vi è chi arriva scherzosamente
a scommettere sul tempo che questo o quel campidanesofono impiegherà
a parlare il gallurese. Il tempo medio, secondo questo tipo di scommesse,
viene valutato in circa un mese o anche in 20-25 giorni.
2.7 L’azione delle associazioni
in campo linguistico
Negli anni scorsi si è assistito a una certa chiusura da parte
della Consulta Intercomunale Gallurese nei confronti di una proposta
avanzata da una commissione di studio istituita dall’assessorato
regionale alla cultura, la quale tendeva al adottare una varietà
condivisa di sardo per la redazione degli atti del medesimo assessorato
(la sigla L.S.U. in Gallura veniva sciolta ironicamente con “Lavori
Socialmente Utili [alla Commissione]”).
Dopo che la Consulta Gallurese ha sensibilizzato i comuni corsofoni
ad adottare delibere con le quali si respingeva l’idea di adottare
una lingua unificata per gli usi della Regione Sardegna, si sono verificati
dei casi di estremismo che in qualche caso rasentano il grottesco.
Se, da un lato, la posizione del sito web Il Gallurese appare morbida
e aperta a soluzioni condivise, vi è qualcuno che per la tutela
del dialetto maddalenino (ignorato dalla L.R. n. 26/1997) ha pensato
di chiedere l’intervento del Consiglio della Comunità di
Corsica. E non è mancato chi in una recente pubblicazione ha
ventilato la secessione della Gallura rispetto alla Sardegna.
Comunque, la Consulta Gallurese ha bandito un concorso per un “inno
gallurese” che si è svolto regolarmente e al quale hanno
partecipato diversi concorrenti. Concorso che si è concluso con
l’adozione di un inno che, per la verità, è poco
conosciuto.
Alla base di tali posizioni più o meno sardofobe si intravede
il timore di vedere il gallurese relegato in una posizione marginale.
In realtà la legge regionale n. 26 del 1997 riconosce al gallurese
(e alle altre varietà eteroglotte e alloglotte presenti in Sardegna)
pari dignità col sardo. E, d’altra parte, sul piano geografico
e quantitativo le varietà sardo-corse, seppure rappresentino
un elemento significativo nella realtà linguistica sarda, occupano
pur sempre una posizione minoritaria rispetto alla stragrande maggioranza
sardofona. Comunque, si tratta di posizioni eccentriche che sembrano
essersi ridimensionate con la costituzione della nuova provincia di
Olbia-Tempio.
Le garanzie offerte dalla L.R. n. 26/1997 non bastano ad alcuni non
sardofoni i quali pretenderebbero che al sardo non fosse riconosciuto
quel ruolo millenario che gli studiosi e i legislatori gli riconoscono
pacificamente, se è vero che il sardo è compreso tra le
lingue sottoposte a tutela mentre le varietà sardo-corse, a causa
del loro statuto di dialetti della lingua italiana, sono considerati
alla stregua di altre pur importanti varietà regionali come,
ad esempio, il lucano, il ligure, il romagnolo eccetera.
Tuttavia, se le questioni linguistiche riescono ad appassionare gli
animi e ad accendere a tal punto la fantasia di qualche esagitato è
bene che questi problemi non siano sottovalutati perché, come
diceva Gramsci, quando si pone il problema della lingua si pone un problema
politico. Ebbene, anche se la situazione non sembra paragonabile a quella
dell’Irlanda, si deve riconoscere che, da un punto di vista geografico,
la posizione della Gallura ricorda quella dell’Ulster. Può
sembrare esagerato, ma a volte certi problemi possono ingigantirsi proprio
a causa della loro sottovalutazione.
Non si deve dimenticare che alla
base della costituzione della provincia di Olbia-Tempio c’è
stata anche una spinta che si potrebbe definire, in un certo senso,
autonomistica nei confronti del resto della Sardegna, specialmente da
parte dei galluresi corsofoni. Per esempio, i promotori dell’adesione
del Comune di Badesi alla nuova provincia hanno motivato la loro scelta
adducendo anche motivazioni linguistiche.
Il Comune di S. Teodoro di recente è stato accusato di compiere
una operazione di pulizia linguistica corsizzando gli antichi toponimi
logudoresi dopo che questi sono sopravvissuti alla colonizzazione corsa
dei secoli passati.
Bisogna dire, comunque, che un certo spirito antagonistico tra sardi
corsofoni e sardi propriamente sardofoni è sempre esistito. Vi
è chi, per marcare questa distanza, richiama il fatto che i galluresi
corsofoni chiamino li Saldi gli altri Sardi. Ma costoro ignorano che
i vecchi sardi corsofoni, cioè i loro progenitori, già
diversi secoli orsono definivano i Corsi li Cossi, marcando una distanza
anche con questi ultimi. Infatti nella toponimia gallurese sono attestate
parecchie forme come Azza di li Cossi, Maccia di li Cossi, Riu di li
Cossi e simili.
Sempre parlando di spirito antagonistico tra sardi e immigrati corsi,
ma sarebbe meglio definirlo antagonismo cantonale o subregionale, si
può citare il fatto che nella Gallura meridionale, specialmente
nella zona di S. Teodoro, gli abitanti della Sardegna centrale e meridionale
sono definiti la Saldadda lettm. ‘la Sardaglia’. E una poesia
popolare recita ‘bastaldu ammannatu, sé fiddolu d’un
saldu!”.
Si deve riconoscere che da parte degli altri Sardi non si osserva alcun
atteggiamento negativo nei confronti dei galluresi che anzi, in certi
casi, sono visti con simpatia e come una popolazione che suscita curiosità
anche per la diversità della loro lingua. In passato, invece,
vi furono delle contrapposizioni anche assai accese come quando, per
esempio, il nobile corso Vincentello d’Istria con un suo esercito
personale formato da mercenari corsi prese parte alla battaglia di Sanluri
a fianco dei Catalani, contribuendo alla sconfitta dei Sardi arborensi
e alla fine del sogno indipendentista degli Arborea.
2.8 Che fare?
Insomma, gli studiosi e gli operatori che, forse incautamente, attraverso
la L.S.U. cercavano di fare qualcosa per salvare il sardo dall’estinzione,
a causa della non conoscenza della reale situazione sociolinguistica
della Gallura, hanno, certo involontariamente, messo in moto una reazione
che in certi casi ha assunto anche caratteri assai vivaci. Sarà
bene disinnescare questo tipo di reazioni con atteggiamenti basati sulla
conoscenza delle situazioni e sullo studio delle conseguenze che l’adozione
di questo o di quell’atto può provocare. Studiosi e operatori
linguistici non si possono permettere di ignorare una parte non secondaria
della realtà linguistica della Sardegna che, come quella sardo-corsa,
rappresenta una cospicua minoranza nella minoranza con almeno un 15%
dei parlanti.
Non sto suggerendo ricette ma sicuramente sarebbe necessaria, come minimo,
una maggiore disponibilità da parte di tutti, dal momento che
è interesse di tutti che le varietà minori non si estinguano
e che, insieme ad esse, non si estingua un patrimonio culturale e linguistico
di valore inestimabile.
Bisogna che tutti – a iniziare dai legislatori e dagli intellettuali
– facciano uno sforzo in direzione del recupero dell’intercomprensione
che con le ultime generazioni mostra un preoccupante regresso.
La difesa dei propri diritti linguistici non dovrebbe mai sfociare in
posizioni esasperate ma tendere a trovare punti di incontro nella normale
dialettica che deve esistere tra la maggioranza e la minoranza. Come
una minoranza linguistica ha diritto di vedere riconosciuta la propria
specificità, così la maggioranza ha diritto di darsi degli
ordinamenti nel tentativo di salvare la propria lingua dall’estinzione.
In un passato non troppo lontano nell’esercito sardo gli ordini
erano impartiti in una varietà a base logudorese che fungeva
da koiné. Non a caso durante la Grande Guerra la parola d’ordine
della celebre Brigata Sassari era Si ses italianu faèdda in sardu
‘se sei italiano parla in sardo’. Ora anche l’inno
di questa stessa brigata, Dimonios ‘Diavoli, Demoni’, composto
pochi anni fa in sardo logudorese, è cantato e capito dagli stessi
soldati galluresi che vi militano. E, d’altra parte, i galluresi
capiscono abbastanza bene i testi delle canzoni in sardo.
Un esempio giunge proprio dal canto
e dal ballo tradizionali, che contribuiscono al perfetto inserimento
dei gruppi folkloristici galluresi in un vivacissimo panorama di manifestazioni
culturali. Queste iniziative non solo animano alcune tra le più
seguite trasmissioni radiofoniche e televisive della Sardegna, ma rappresentano
uno degli aspetti di maggior coesione sociale e culturale di un isola
che, pure, è nota per i suoi particolarismi. Non appare un caso
che i programmi televisivi Sardegna canta dell’emittente Videolina
di Cagliari e Buonasera Sardegna dell’altra emittente cagliaritana
Sardegna Uno, secondo rilevazioni di settore siano in assoluto i programmi
locali di intrattenimento più seguiti nell’isola.
La trasmissione radiofonica dai contenuti popolari forse più
seguita attualmente è La boci di la Gadduura ‘La voce della
Gallura’ che, messa in onda da Radio Internazionale di Arzachena,
trasmette canzoni dell’intero repertorio tradizionale sardo. Questa
trasmissione, pur essendo condotta interamente in gallurese, è
ascoltata anche dai sardofoni del Logudoro e anche dello stesso Campidano.
Spesso i sardofoni interloquiscono con i conduttori, ciascuno nelle
rispettive varietà, a dimostrare che l’intercomprensione,
al di là delle diversità formali, rappresenta un fatto
di disponibilità.
Se è vero che tutti coloro che parlano delle lingue neolatine
riescono a capirsi tra loro purché parlino piano, non si vede
come ciò non sia possibile tra sardofoni e corsofoni che per
secoli, durante i quali le lingue ufficiali erano il catalano e lo spagnolo
mentre l’italiano non era capito se non da poche persone, hanno
interloquito parlando gli uni e gli altri i rispettivi linguaggi.
In effetti, si tratta soltanto di avere buona volontà e di non
chiudersi ciascuno nel proprio cortile. Altrimenti si torna al detto
sardo Chentu concas chentu berritas che esiste anche in gallurese (Centu
capi, centu barretti) e in sassarese (Zentu cabbi, zentu barretti).
Sebbene siano passati circa cinquecento
anni la situazione linguistica della Sardegna settentrionale –
tenendo conto del fatto che da oltre due secoli l’italiano ha
sostituito entrambe le lingue iberiche – non sembra essere mutata
di molto rispetto a quella che veniva descritta dai Gesuiti di Sassari
nel 1561: “es una confusión en esta tierra acerca de las
lenguas” ‘c’è confusione in questa terra in
fatto di lingue’.
Gli elementi di novità sembrano rappresentati da una nuova consapevolezza
delle comunità sardo-corse che, nella solida integrazione con
la comunità regionale, ambiscono a preservare le proprie parlate
dalla decadenza che minaccia tutte le lingue minori. L’evidente
coesione sociale raggiunta dalle due componenti sarda e corsa, grazie
anche al plurisecolare processo di osmosi culturale e linguistica, rappresenta
uno dei migliori esempi di convivenza civile.
3. Conclusioni
A conclusione di questo intervento, mi limiterò a qualche breve
osservazione. Le decisioni spettano ai politici, però gli studiosi
possono dare dei consigli.
L’anno scorso a Cagliari la Regione e l’Università
mi chiesero di relazionare sulla storia degli usi formali del sardo.
In quella occasione emerse chiaramente che il sardo ha almeno mille
anni di storia scritta; dunque, alcuni secoli in più rispetto
all’italiano. Allora, dirà qualcuno, che male c’è
se il sardo muore qualche secolo prima dell’italiano?
Tutte le lingue muoiono e il latino ne è la dimostrazione più
evidente. Tuttavia, se è vero che tra gli elementi che sono alla
base dell’autonomia della Sardegna la lingua rappresenta forse
l’elemento più caratterizzante, pur dando atto della buona
volontà dimostrata dall’Amministrazione Regionale in questi
ultimi anni, gli sforzi fatti sono veramente poca cosa rispetto ai mezzi
che bisogna mettere in campo per cercare di salvare la lingua sarda
e, con essa, una parte importante, forse decisiva, della storia del
popolo sardo.
Macomer, 28 novembre 2008
(17-12-2010)