ALCUNE CHIESE DI BOLOTANA

San Bachisio XIII° secolo
La chiesa, edificata nella parte bassa dell'agglomerato di Bolotana in direzione ovest-nord, deve il suo aspetto attuale agli interventi di rifacimento, avviati durante la fine del XVI secolo, I quali hanno cancellato quasi completamente la precedente struttura romanico-pisana.
Il ripristino salvò tuttavia alcune parti dell'antecedente costruzione. La presenza dell'interessante portale laterale, ad arco inflesso ricco di sagome delicate e ben ritmate e di monofore del trecento sardo, situate in alcune cappelle laterali, ora accecate da informe muratura, indiziano il sopravvivere dell'antica chiesa.
La chiesa fu pensata e progettata come opera privata, essa è edificata su una lieve altura che, costituendosi come naturale stilobate, ne mette subito in risalto la sua compatta e chiaroscurata massa, conferendole stacco ed importanza.Foto Luigi Ladu
Lo spazio, recinto da un muro tutto attorno alla costruzione, risulta interessante sia per lo sviluppo planimetrico avvolgente delle superstiti cumbessias sia per i particolari stilistici conservati in una finestra gotico-aragonese della casa privata della committente.
Fu eretta per volontà della nobildonna Anna Fara. La quale oltre a finanziare l'esecuzione dell'intera opera la rese operante dotandola di beni ed di arredi e fornendo inoltre periodicamente reddito per le necessità di culto.
Ne affidò la costruzione al capomastro Michele Puig nativo di Cagliari, ma in quegli anni residente a Bolotana.

Gli interventi operati tra il 1524 ed il 1598 determinarono il nuovo volto dell'edificio. Entro queste due date si potrebbe collocare l'inizio ed il compimento dei lavori riguardanti la struttura e la funzionalità della chiesa.
A prescindere dalla data del 1598, presente in una lunga iscrizione lapidea, posta nel muro interno della facciata e corrispondente alla consacrazione della chiesa da parte del vescovo di Alghero Andrea Bacallar, non si è ancor in grado, per difetto di documenti, di chiarire meglio le varie fasi storico-strutturali del San Bachisio.
Permangono infatti giustificate incertezze a proposito della data di inizio dei lavori; l'incisione documentale riportata nell'architrave del portale di ingresso è divenuta illeggibile per la corrosione della pietra e tra l'altro non concorda con la lettura datane dallo Spanu, lasciando inoltre il dubbio che non dovesse essere una scritta di chiara lettura neppure all'epoca se, anche un altro studioso, il Fara, ha fornito un'interpretazione diversa. Pertanto la datazione del S. Bachisio è da individuarsi attraverso raffronti stilistici con opere analoghe.
Si può convenire quindi che la data di edificazione della costruzione può essere quella legata alla figura ed alla famiglia della benefattrice e dell'attività del picapedras Michele Puig.
Il maestro è da qualche anno domiciliato a Bolotana quando firma il contratto d'appalto per la costruzione del campanile della chiesa di San Pantaleo a Macomer, lo scritto indica nel 1573 l'anno di inizio dei lavori e nel 1580 la loro conclusione.
E' il caso di citare un ulteriore episodio architettonico, riferibile più o meno alla stessa data e allo stesso clima culturale: la decorazione del portale della parrocchiale di Bortigali, eseguita per l'appunto nel 1584.
Vi è tra quest'ultima e quella del San Bachisio un certo riscontro morfologico, per cui si può ipotizzare che il Puig abbia in qualche modo operato anche in qualche centro.
Pertanto, l'attuale costruzione del S. Bachisio potrebbe essere di qualche anno antecedente al 1598.
E' improbabile che Michele Puig inizi San Bachisio nel 1524 e poi nel 1580 e 1584 sia ancora operante tra Macomer e Bortigali.
L'iter lavorativo è di circa 60 anni tra la prima opera e le altre due, trascorrono ben 74 anni tra l'inizio dei lavori e la sua consacrazione. Altra curiosità è rappresentata da una riflessione di livello logico: ma che età aveva M. Puig nel 1524 quando costruisce S. Bachisio?
La personalità artistica di Michele Puig per quanto incline a lasciarsi influenzare dalla consolidata appartenenza della Sardegna alla tradizione del gotico-aragonese (presente nell'isola dalla prima meta del XIV fino al XVIII secolo) aderì al rinnovamento artistico rinascimentale, associando nel San Bachisio la forma manieristica con la tradizione regionale gotica in una efficace complementarietà.
Ciò senz'altro nell'impegno del maestro il condizionamento dell'essere dovuto intervenire in successive riprese, modificando alcune parti dell'edificio già esistenti, e sostituendone altre integralmente, ciò gli ha impedito di affrontare con maggiore libertà i problemi compositivi.
Nel S. Bachisio gli elementi rinascimentali, anche se si presentano non interamente assimilati, si armonizzano felicemente con le forme della tradizione gotico-catalana e stanno a testimoniare che l'opera di Bolotana, nel suo intreccio di formule architettoniche ha individuato nel suo autore un picapedras di talento non solo locale.
Particolare Altare Foto Luigi ladu
Il maestro progetta uno spazio ad unica aula aerata e luminosa, con il gusto delle superfici chiare e la tendenza a concentrare e condensare gli spazi, il tutto perfettamente coerente con la ricerca manieristica operante in culture extrainsurali, che corrispondono agli ideali planimetrici condivisi dall'ordine gesuitico.
Bisogna premettere che nel 1534 si stabilisce nell'isola la compagnia di Gesù nel clima di quel processo di "spagnolizzazione" voluto dagli aragonesi: " I padri gesuiti appena stabilitisi in Sardegna, fecero scacciare dal governo spagnolo gli altri ordini religiosi italiani (camaldolesi, cappuccini) controllando una severa repressione l'insegnamento a tutti i livelli e quindi la cultura, impedendo ogni anelito degli spiriti liberali.
Pertanto per la tipologia interna del San Bachisio si potrebbe ipotizzare che l'idea distributiva degli spazi operata dal Puig sia in armonia con gli obiettivi ideologici e demagogici e in parte con gli indirizzi suggeriti dai padri gesuiti.
L'opera infatti presenta pianta longitudinale ad unica navata, affiancata da 10 cappelle (una è stata sacrificata, in quanto funge da uscita secondaria e contiene l'antica acquasantiera).
Esse sporgono tutte limitatamente dal perimetro murario in una lenta articolazione interna. Lo spazio domina nella larga navata coperta da un'ampia volta a botte olivata, rinforzata e scompartita da arconi decorati alle estremità da motivi geometrici ed impreziosisti centralmente da raffigurazioni in rilievo, questi scaricano il loro peso su semplici e slanciate paraste.
Le paraste, smussate e scavate, sono prive di capitello e presentano un alto piedistallo sormontato da una cimasa composta da sagome classiche.
In questa nuova interpretazione spaziale la comunità si ritrova compatta davanti al presbiterio, dove il clero svolge il suo ruolo preminente ed il predicatore ha davanti a sé tutti i fedeli.
Il Puig ha saputo rinnovare l'antico modulo basilicale a tre navate (sia idealmente, ma con molta probabilità anche materialmente, immaginando il San Bachisio romanico a tre navate) donando ai fedeli e al clero un edificio funzionale, privo di elementi che in qualche modo potessero distogliere l'attenzione dall'officio del rito.
Gli interventi di ammodernamento non hanno giovato alla coerenza strutturale e stilistica dell'edificio, infatti la copertura a volte a botte a sesto acuto della navata, non appartiene alla tradizione gotica per la mancanza di crociere costolonate, così pure non può essere considerata copertura del tutto rinascimentale perché è priva dei lacunari e della voltatura a tutto sesto.
Bisogna precisare però che questo tipo di volta, separata solo da archi e adottata nel San Bachisio, si estese così tanto in Sardegna, da perdurare fino al XVII secolo non tanto per i risultati decorativi, quanto per la maggior facilità di esecuzione della stessa struttura.
Sopra le cappelle laterali si sviluppa una galleria che comunica attraverso finestre con la navata centrale.
Il vano presbiterale quadrangolare è sopraelevato rispetto al piano della navata ed è separato da questa da un arco simile a quelli utilizzate nelle cappelle.
Inserito nel muro superiore all'arco sta un rosone traforato.
Le due semicolonne che sorreggono tale arco rappresentano nell'ornamentazione dei capitelli lo stemma dei Centelles.
Si hanno buoni motivi per ritenere che la copertura dello spazio metta in evidenza molti punti oscuri e controversi sia nel suo itinerario costruttivo, che in quello stilistico.
La presenza negli angoli di raccordi sferici (pennacchi), disposti in maniera a dir poco singolare, fa presupporre che il vano dovesse essere ricoperto con cupola e nulla vieta di pensare che questa soluzione sia stata realizzata; se ne può osservare un indizio; è visibile nel parallelepipedo esterno della cappella maggiore un innesto all'altezza della improbabile imposta della cupola, che evidenzia un diverso modo tecnico nel procedere alla sopraelevazione del muro.
In seguito questa soluzione cupoliforme venne forse abbandonata per un suo ipotetico crollo e non venne più ricostruita per la improbabile imperizia ed incapacità delle successive maestranze; se ne può dedurre quindi che l'attuale copertura più che un innovazione potrebbe essere una soluzione di ripiego, o anche un'esecuzione più tarda rispetto allo stile della chiesa, come afferma il Salinas.
La copertura attuale è una volta a padiglione che imposta i suoi archi, modanati e inseriti nei muri perimetrali , su quattro peducci, non elaborati e curati come altre sculture del San Bachisio. Questo tipo di copertura è anch'essa ottenuta come quella a crociera però, nel confronto, è priva di possibilità aggregativi in quanto scarica uniformemente il suo peso su tutto il perimetro murario e necessità pertanto di un appoggio continuo.
Nelle vele della volta si aprono quattro lunette con finestre: tre illuminano il vano presbiteriale e la quarta, oscurata, ha solo funzione di simmetria dell'opera appare l'aggiunta della sagrestia, coperta da una rozza e grossolana volta a botte, illuminata da un'unica apertura.
L'esterno della scatola muraria del S. Bachisio presenta una struttura compatta, chiaroscurata e decisamente decorativa nella facciata.
L'impaginazione parietale del prospetto riflette un procedimento compositivo a capanna dove sono presenti formule gotico-aragonesi e rinascimentali.
La facciata è divisa orizzontalmente da una sottile cornice; tutta la parte inferiore è animata dall'esuberanza del portale timpanato classicamente e formato da semicolonne binate che sorreggono la trabeazione priva di fregio. Inseriti fra le pseudo colonne, di cui quelle interne sono di forma tortile, ripetuti anche nell'architrave, stanno dei bassorilievi alternati a motivi geometrici. Nella parte superiore della facciata la distribuzione dei pieni e dei vuoti è più equilibrata.
Nel frontone, concluso da una semplice cimasa, trionfa il ricco rosone cigliato, ora murato, di ricordo tardo gotico elaborato con fasce scolpite variamente e gustosamente modellate.
Senza dubbio quando verrà eseguito il restauro , questo rosone risulterà con elegante traforo a raggiera, perché è inammissibile che si siano curate, attraverso elaborate soluzioni, le piacevoli fasce circolari per inserirvi una struttura coprente, insignificante e senza nessuna ragione plausibile di esistere.
Le due nicchie vuote a fianco del rosone fanno supporre la contemporanea presenza di due sculture a tutto tondo, che verosimilmente dovevano rappresentare la statua di San Bachisio e quella di un altro santo.
Poderosi contrafforti caratterizzano la parte absidale e i fianchi esterni dell'edificio.
In questi sono presenti delle finestre genialmente sagomate, distribuite non in senso razionale (il che fa pensare a diversi ripristini e rifacimenti), che mostrano arditezza ed indipendenza dalle formule costruttive e artistiche consuete, per la libera interpretazione adottata dagli autori.
Il fianco sinistro è ingentilito dalla presenza di una pregevole posta curata nelle nervature dal profilo elegante e dal modo con cui vengono affrontati i particolari minori.
C'è da sottolineare che in tutta l'opera la traduzione dal testo gotico-aragonese a quello rinascimentale viene eseguita in buona parte con perfetta compenetrazione delle nuove soluzioni spaziali con quelle vecchie, sicché si ottiene un insieme sostanzialmente armonico e coerente, per cui le inevitabili diversità di stile non contrastano e non irritano.
L'attento e minuzioso esame di questa costruzione pone in rilievo la figura di Michele Puig, uno dei pochi artefici sardi non soffocato dalle presenza delle varie maestranze pervenute nell'isola nelle diverse epoche.
Sfugge agli storici dell'arte la sua personalità, risultano sommarie, ma tuttavia precise le notizie di una sua intensa attività nella zona del Marghine, sempre in lavori di rifacimento o di costruzione.
Egli, pur non riuscendo a conciliare nell'ammodernamento del San Bachisio la coerenza strutturale e stilistica, ha reso comunque questo edificio un interessante esempio storico-archittetonico, in cui non mancano soluzioni originali tra i motivi arcaico-gotici e classico-manieristici.
Nel 1943 la chiesa fu occupata da reparti dell'esercito tedesco ed in seguito da formazioni di quello italiano, in questo lasso di tempo, a detta di alcuni anziani del posto, la struttura subì danneggiamenti e momenti di abbandono ed incuria.
Gli interventi di recupero successivi non sempre hanno giovato al complesso, i diversi strati di calce raggrumata, eseguiti barbaramente , hanno ricoperto le diverse sfumature del colore della trachite di Palude, le belle decorazioni dei pilastri e delle ghiere degli archi.
Nel recinto dell'area sacre sono conservati come già detto un pozzo, una sorgente, l'antica casa della fondatrice e i resti de "sas muristenes", vi è anche la presenza di altre costruzioni non coeve all'ideazione di quel solitario e silenzioso sito, che evidenzia rapporti più violentemente snaturati con esso, maggiormente ingigantiti oggi dall'intensivo costruire nelle immediate vicinanze.
In questo studio del San Bachisio, molti punti risultano chiariti, ma altri tutt'oggi rimangono oscurati da incertezze e da problemi insoluti.

San Pietro XVI° secolo  

Foto Luigi LaduLa realizzazione di San Pietro, molto probabilmente si deve a Miguel Puig, originario di Cagliari ma residente a Bolotana, che edificò la Chiesa rurale di S. Bachisio ultimata nel 1597, la riedificazione della parrocchiale intitolata a S. Pietro, datata 1600 dall'epigrafe. Oggi illeggibile, mirata nel cartello sul timpano del portale di facciata, che recitava: HIS MAR Custa faina est facta in su annu 1600 Bolotana. All'epoca era rettore della parrocchia il medesimo Bachisio Mura che ricopriva la carica di canonico del S. Bachisio; quanto sopravvive della chiesa seicentesca, mostra elementi compositivi e ornamentali simili a quelli del S. Bachisio.

L'edificio venne riparato ante 1661 e ricostruito in forme neoclassiche, incorporando la struttura preesistente, nel primo quarto del XIX secolo. Dalle relazioni delle visiterei vescovi di Alghero, cui la parrocchia apparteneva fin dal 1503, risulta che la chiesa seicentesca aveva ben 8 cappelle, di cui quella di Nostra Signora del Rosario, definita "cappella gran", "curiosamente" fabbricata e arricchita da pitture alle pareti. Nel maggio 1807 la chiesa era chiusa al culto, perché in fabbrica, e il vescovo si impegnò ad adottare le opportune provvidenze per ultimarla, la solenne consacrazione non avrà luogo che nel 1833 e solo nel 1868 l'edificio fu pavimentato con quadrelli di marmo e ardesia, a cura del suo amministratore, il notaio Antonio Pintor.

Si può ipotizzare che l'edificio attribuibile al Puig avesse navata unica con cappelle laterali e vano absidale quadrangolare più basso e stretto della navata, come nel S. Bachisio e in ottemperanza ai canoni controriformistici diffusi nell'isola dai Gesuiti, la cui impronta è rilevabile anche nella diffusione della sigla IHS (presenti sulla facciata della chiesa di S. Giovanni battista e nei cappelli dell'oratorio di S. Croce) e nella presenza di una più tarda cappella dedicata a S. Ignazio nella stessa parrocchiale.

Pur con i rimaneggiamenti e la recente ridipintura, la facciata mostra la sopravvivenza di elementi ornamentali derivati dalla tradizione gotico-catalana ma anche l'assimilazione dei canoni rinascimentali nella partizione regolare in due ordini - l'inferiore con al centro il portale, il superiore diviso in tre specchi, con una finestra al centro- da due lesene piatte che proseguono oltre la cornice unendosi agli spioventi per formare una sorta di piccolo timpano. I valori dominanti sono di superficie, accentuati dal contrasto fra l'intonaco chiaro delle pareti e la trachite rossa delle membrature.

Il portale con arco a tutto sesto, inquadrato da quella che può essere considerata la traduzione planare e vernacolare di un'edicola classicistica, con esili semicolonne corinzie che reggono la trabeazione con timpano schematico, affiancato da due acroteri a sfera e sormontato da fiorone, ha stipiti a tre colonnine tardogotiche, le cui modanature proseguono nell'archivolto oltre gli stretti capitelli, affiancate su basamento alto quanto quello delle semicolonne laterali e ad esso collegato da modanature orizzontali. Al caratteristico motivo elicoidale tardogotico della colonnina più esterna, presente anche nella parrocchiale di Ardauli si affianca la decorazione plateresca - cassettoni e punte di diamante- della fascia continua sugli stipiti ed esterna all'archivolto; quale stilizzata citazione classicistica appaiono le doppie volute ai lati dell'arco.

Con un recente restauro è stato realizzato in bronzo un nuovo portone d'ingresso con delle splendide sculture dell'artista dorgalese Pier Giorgio Gometz.

San Giovanni XVII° secolo

- Lo stato attuale
La chiesa tardogotica di San Giovanni sorge, aggrappata col suo lato nord al pendio che culmina con il diruto convento dei Cappuccini, a quota 516.
Chiesa di patronato e, come tale non oggetto di visita da parte dei vescovi, è stata donata nel 1989 alla Parrocchia dalle famiglie Sulas-Filia e Tiana.
Ricostruita nel 1630 o nel 1636, è ad aula unica coperta da tetto ligneo a due spioventi coperti da tegole, presbiterio, rialzato di un gradino, rettangolare della stessa larghezza dell'aula, minuscolo vano di sagrestia al quale si accede attraverso due porte architravate ai lati dell'altare.
L'apparecchio murario visibile all'esterno è costruito da materiale litico di irregolari forma e pezzatura, mentre di buona trachite rossa sono le mostre dei due portali, arcuati a tutto sesto, uno sul fianco meridionale, l'altro sulla facciata occidentale, ornati di rilievi simbolici (leone e cinghiale), ed il rosone gotico che, aperto sul lato sud, illumina il presbiterio. Contiguo al rosone è un contrafforte resosi necessario già in antico per contrastare la spinta forse mal calcolata dell'arco del presbiterio.
All'interno la muratura appare, nei muri laterali, fortemente rastremata, a scarpa; la scarpa è particolarmente accentuata nel vano del presbiterio, in maniera non consueta nelle architettura secentesche, autorizzando l'ipotesi che si possa trattare di residui della precedente redazione del monumento.
L'aula, lunga m. 15,40 e larga da m. 5,50 (all'ingresso ovest) a m. 5,77 (all'altezza del presbiterio), è divisa in tre campate diseguali da archi a tutto sesto su robuste lesene che fungono da rompitratta per l'armatura del tetto. All'imposta degli archi sono delle cornici di pietra a semplice gola, di restauro. Di restauro è anche la recente pavimentazione a grandi riquadri di monocottura imitante cotto.
Il presbiterio, largo quanto l'aula e profondo m. 3,90, comunica per mezzo di due porticine ai lati dell'altare, con un piccolo vano-sacrestia.
L'altare originario, è in materiale lapideo, con mensa addossata alla parete Est sormontata da tre gradoni per il supporto delle carte-gloria, dei candelieri e - probabilmente in età barocca - di palmette. Nella parete è incavata una nicchia a pianta semicircolare, voltata a quarto di sfera, tra due coppie di colonne dipinte a finto marmo, sormontate da un architrave decorato alle estremità da due elementi conici terminanti a sfera.
All'interno della nicchia è la statua del Santo cui la chiesa è dedicata, di buona mano sardo-napoletana, databile tra gli ultimi anni del Cinquecento ed i primissimi del Seicento e quindi coeva alla redazione della Chiesa giunta sino a noi.
Dell'antico arredo sono superstiti alcune litografie ottocentesche, mentre tutto il resto risale agli ultimissimi anni Novanta del Novecento, quando si concluse il restauro architettonico.

Tratto da: "I Beni Culturali della Chiesa di Bolotana" - di Roberto Caprara - Edizioni della Parrocchia di San Pietro Apostolo Bolotana 2002.

San Francesco XVII° secolo

- Le origini
La chiesa di San Francesco, sita ancora alla periferia nord-ovest di Bolotana, a quota 545 s.l.m., orientata con presbiterio a nord e facciata a sud, è stata costruita, secondo dati di tradizione ma non documentali, tra il 1600 ed il 1609.
Per tale costruzione il nobile bolotanese Gavino Gayas avrebbe offerto in dono un suo podere, secondo la memoria popolare per le spese di costruzione del convento, ma - più verisimilmente - come area fabbricabile. In ossequio alla volontà del padre, probabilmente scomparso nel frattempo, sua figlia Caterina, moglie di Onofrio Fois, con l'autorizzazione del Vescovo, d'accordo con il Parroco e con la popolazione, avrebbe dato inizio ai lavori nel 1608.
Affiancata ad un ampio convento di Cappuccini - ora ridotto in condizioni di articolante rudere - ha vissuto vicende affannose, per l'ostilità dimostrata dai bolotanesi nei confronti dei frati che vi officiarono.
Nel 1611, infatti, una rivolta popolare contro i feudatari e contro le famiglie nobili - giustificata dalla oppressione fiscale e dalle ricorrenti angherie - avrebbe investito anche i Cappuccini, appena insediatasi, sospettati di stare dalla parte dei recenti benefattori, costringendoli ad abbandonare il paese il 22 agosto.
Non sappiamo quali siano stati gli accadimenti sino al 1694. Pura favola ci pare il racconto che ci dice che (a ottant'anni di distanza!) chiarita la posizione dei frati e dimostratisi infondati i sospetti contro di essi, il popolo avrebbe voluto pubblicamente riparare l'offesa ed avrebbe ottenuto, con l'intercessione del Vescovo e l'interessamento dei Nobili del luogo, il ritorno dei Cappuccini.
Verisimilmente ci dovettero essere reiterati tentativi da parte dei Francescani per recuperare il luogo, andati a buon fine solo dopo molti anni. E' immaginabile che chiesa e convento fossero in condizioni precarie, dopo così lungo abbandono. E questo spiega la presenza di arredi e opere d'arte settecentesche e ottocentesche, oltre che l'assenza di manufatti secenteschi.
Colpita la comunità dalle leggi eversive nella seconda metà dell'Ottocento, il complesso fu abbandonato definitivamente nel 1872.

- Lo stato attuale della chiesa
La facciata, estremamente semplice, è a capanna a due spioventi, senza alcun elemento ornamentale.
L'interno è assai semplice anch'esso: aula unica coperta a botte, presbiterio rialzato di due gradini, leggermente meno largo dell'aula. Prima dei restauri in corso il presbiterio era delimitato da una balaustra di legno a colonnine intarsiate.
Sul lato destro, attraverso due archi, il primo, partendo dall'ingresso, a sesto acuto, l'altro a tutto sesto, l'aula comunica con due cappelle coperte da volte a crociera, collegate tra loro da un piccolo corridoio sovrastato da un campaniletto a vela.
In ciascuna delle cappelle è in altare in muratura, sul quale si apre una nicchia a tutto sesto. In una delle nicchie era la statua dell'Immacolata Concezione e nell'altra quella della Madonna degli Angeli.
Sulle pareti del presbiterio sono dipinti, in monocromia, due per parte, i quattro Evangelisti, opera, come tutto l'arredo pittorico superstite, di ignoto pittore sassarese, datata - secondo tradizione - al 1891. Sulla volta un dipinto rappresentante le Virtù Teologali, Fede, Speranza e Carità, nella prima campata, ed uno rappresentante l'Ascesa al Cielo della Vergine Maria, nella seconda campata, di eguale mano e datazione degli Evangelisti. La volta del presbiterio è dipinta a finti cassettoni. Sull'archivolto è lo stemma dei Francescani.
L'altare, in muratura, che aveva in tabernacolo ligneo settecentesco di notevole interesse , è sovrastato da una grande tela di buon livello artistico, di autore ignoto dei primi del Seicento, rappresentante la Crocifissione con San Francesco in ginocchio, a sinistra, insieme con la Madonna e Santa Caterina d'Alessandria. A destra, in piedi, la tradizione vuole che siano rappresentati i donatori, don Gavino Gaias, sua figlia Caterina ed il marito di questa, don Onofrio Fois.
In basso, uno stemma araldico, attribuito alla famiglia Fois Paderi, ed una iscrizione in spagnolo.
In alto, dove la ricca cornice si chiude a frontone triangolare, una piccola tela rappresenta l'Eterno Padre.
Ai lati dell'altare, due porte architravate sormontate da lunette baroccheggianti immettono nello spoglio locale che ospitò, un tempo, il coro, i cui stalli sarebbero stati rimontati nella Parrocchiale all'epoca della ricostruzione ottocentesca.
Dell'arredo superstite, rimangono, dislocati temporaneamente in altra sede a causa del restauro in corso, il Paratore tardo-secentesco, la balaustra lignea del presbiterio, il tabernacolo, una mediocre statua di San Francesco di intagliatore locale, forse settecentesca ma probabilmente più tarda, una tela rappresentante sant'Antonio di Padova, il Pulpito, alcuni Candelieri lignei e i due Crocefissi, per i quali si rinvia al Catalogo in appendice.
Del convento, ridotto irrecuperabile rudere, sopravvivono due stanze e un portichetto contigui alla chiesa.

Tratto da: "I Beni Culturali della Chiesa di Bolotana" - di Roberto Caprara - Edizioni della Parrocchia di San Pietro Apostolo Bolotana 2002.

 

San Basilio


Ubicata all'inizio dell'antico tracciato viario che collegava Bolotana con Lei, per tradizione è considerata la più antica tra le chiese urbane. Se la tradizione ha un fondo di verità, la redazione gotico-catalana giunta sino alla metà del XX secolo, non era quella originaria, ma una ricostruzione.
Spiace non avere alcuna testimonianza della redazione più antica, che pure potrebbe essere stata conservata alla redazione secentesca.
Oggi della redazione secentesca rimane il portale in trachite, ridipinto in rosso porpora. Sul concio di chiave dell'archivolto dell'ingresso, entro scudo araldico si legge il monogramma IHS, sormontato da croce che in esergo i tre chiodi. Lo stemma è circondato da cinque piccole rosacee, evidente allusione simbolica alle cinque piaghe del Cristo.
La chiesa all'interno, non conserva nulla dell'antica redazione, fatta eccezione per due semplicissimi capitelli d'imposta in trachite dell'arco che divide in due parti l'aula.
Il presbiterio, rialzato di tre gradini è chiuso da un muro al centro del quale è una nicchia a tutto sesto incorniciata da mattoni posti di taglio, nella quale è la statua lignea antica di san Basilio. Ai lati della nicchia, due porte mettono in comunicazione il presbiterio con il piccolo vano della sacrestia.
Accanto alla porta meridionale, una campanella di bronzo rece incise le lettere S. B. D. che, riteniamo le iniziali latine di Sancto Basilio Dicata.
Nessuna traccia, ovviamente, dell'altare antico, sostituito da una mensa di tipo post-conciliare.
Nell'aula ci sono due statue moderne, una dell'Immacolata ed una di Santa Vittoria.
Nella sacrestia si conserva un unico oggetto meritevole di attenzione: una croce lignea riservata in madreperla, di fabbricazione palestinese, dei primi anni del XIX secolo.
In San Basilio si seppelliva. Probabilmente sotto l'aula si cela una cripta funeraria, se si considera il fatto che il piano di pavimento della chiesa è ad uno quota variabile tra i circa due metri e gli oltre tre metri dal livello di fondazione dei muri perimetrali.

Tratto da: "I Beni Culturali della Chiesa di Bolotana" - di Roberto Caprara - Edizioni della Parrocchia di San Pietro Apostolo Bolotana 2002.

Santa Croce

Ancora aperta al culto nel 1908, oggi è ridotta alle funzioni di magazzino di sgombero.
Originariamente doveva avere una sua dignità architettonica, come appare anche dagli archi gotici superstiti all'interno e dai due capitelli d'imposta, mutili in parte, sui quali si leggono ingenui ma efficaci rilievi: su di uno si vedono due leoni di redazione estremamente vernacolare; sull'altro, un pavone e un leone affrontati, aventi fra loro, entro cornice circolare, il solito diffusissimo monogramma IHS. Del pavone, simbolo di immortalità perché gli antichi erano convinti della incorruttibilità delle sue carni, è fin troppo nota la presenza in rilievi, mosaici, dipinti e lucerne di età paleocristiana e bizantina. Questo simbolo si addice alla funzione funeraria che la chiesa ebbe fino a tutto il secolo XIX, probabilmente per i confratelli e consorelle della laicale confraternita della Santa Croce, ma forse anche per gli altri: il 30 gennaio 1836, vi fu sepolto, Diego Sulas, giustiziato per aver ucciso un militare in un conflitto a fuoco.
In Santa Croce era stato sepolto anno prima anche il Rettore Nicola Ambrogio Mulas, morto il 15 settembre 1800, a sessantasei anni, dopo un parrocato che era durato trentuno anni dal 1769, uno dei più lunghi nella storia della Chiesa bolotanese.
Abbiamo documentazione riguardante la chiesa a partire dal 1797.
Sono annotati subito lavori per la riparazione del tetto.
La redazione, iniziata in spagnolo, passa un italiano nello stesso 1797, per lavori di arredo della chiesa, di cui si indicano i costi il lire, soldi, denari.
Per circa un secolo abbiamo solo sporadiche sulla chiesa, che era certo in estrema decadenza nel 1917, quando una lettera del Regio Subcommissario di Alghero, prot. N. 63, del 17 settembre 1917, ci rende edotti del fatto che erano in corso trattative di transazione tra amministratore comunale e parrocchia per l'abbattimento dell'edificio di Santa Croce e l'erezione, al suo posto, della scuola comunale.
Non se ne fece nulla, evidentemente, se nel 1927, tra luglio e ottobre, chiusa la Parrocchiale di San Pietro per lavori di straordinaria manutenzione, le funzioni sacre furono officiate in Santa Croce.
Sempre dalla Cronistoria apprendiamo che nel dicembre 1942 nella chiesa di Santa Croce, laicizzata da un precedente decreto del Vescovo di Alghero, mons. Ciuchini, sono in corso dei lavori per la trasformazione in sala cinematografica. Gli annessi vengono sistemati per accogliere la sede dell'Azione Cattolica.

Tratto da: "I Beni Culturali della Chiesa di Bolotana" - di Roberto Caprara - Edizioni della Parrocchia di San Pietro Apostolo Bolotana 2002.