Sos tràmperis
di Luigi Ladu

 

 

 

(da Pitzinnos minores - Reminiscenze d’infanzia)

 


Era il mese di dicembre, le olive erano a buon punto di maturazione. Per questo motivo, si doveva andare a più riprese in campagna a su cunzau, “a fachere sas prathas ”, per preparare la raccolta delle olive.
A fine settimana, tutti, dal più grande al più piccolo, dovevano dare il proprio contributo alla preparazione. Le piante d’olivo erano tante e il tempo della raccolta si avvicinava.
Per una migliore riuscita, ognuno di loro, lavorava autonomamente in ogni singolo albero. Con un rastrello, si strappavano le lunghe erbacce dal terreno, creando al dì sotto dell’albero una sorta di cortina.
Di seguito con una zappa molto larga e sicuramente ben affilata che chiamavano “sa marra”, dovevano rasare il terreno, quanto il rastrello non era riuscito in precedenza a strappare.
Sas prathas, dovevano essere perfette, poiché, se erano ben fatte, si sarebbero raccolte le olive in modo migliore, senza lasciarne per terra, e per giunta, più velocemente.
Un lavoro, sicuramente, semplice per Mario che, aveva quattordici anni, e forse anche per Gonario che aveva dodici anni, ma per Luiseddu e Piero che ne avevano rispettivamente otto e quattro, indubbiamente era abbastanza faticoso e impegnativo.
Infatti, si pretendeva il contributo di tutti, compresi i piccoli, anche se in tenera età, il loro aiuto doveva essere importante.
Il problema maggiore, era non solo l’erbaccia, spesso dura e difficile da strappare, ma anche, le numerose piantine di cardi che, con le loro pungenti spine, spesso, ferivano le loro mani.
In occasione della raccolta, poichè si effettuava l’abbacchiatura in modo del tutto manuale, tziu Badore prendeva con una lunga “mazadorja ” che l’infilava tra i rami, evitando di colpire le olive, esercitava una continua vibrazione sui rami.
In quel modo, le olive cadevano a terra senza subire botte o raschiature, mentre i ragazzi insieme alle donne, dovevano effettuarne con cura la raccolta.
Il lavoro andava avanti per diverse settimane, di seguito con il carro a buoi, occorreva, portare le olive al mulino per la macina.
Questo, si trovava nella zona di “Monte Longu” nel rione di “Santu Predu”, dove, nel medioevo, insieme a “Seuna”, collegati dalla “via Majore”, era data origine alla città di Nuoro.
La macinazione, se pur oneroso come impegno per tziu Badore, coinvolgeva marginalmente i fanciulli.
Raccolte le olive proprie, spesso si andava a dare una mano ai confinanti, che avevano continuamente bisogno di manovalanza a basso costo.
Il caso di tziu Martine Verachi, vedendo quotidianamente Gonario, Luiseddu e Piero, che periodicamente si trattenevano in su cunzau, chiese loro se, potessero contribuire nel lavoro, dandogli una mano assieme ad altri “manibales ”.
Non avendo altro da fare, i tre, confermarono che sarebbero stati sicuramente ben disposti, rendendosi subito disponibili.
In quel modo, stando alla loro fantasia, avrebbero avuto occasioni di conversazione, con persone diverse e si sarebbero indubbiamente distratti dalla solita noia.
Forse, avrebbero potuto ricavarne persino un sostanziale contributo, ricevendo qualche regalia.
Come da disposizioni ricevute, al mattino successivo, quando la campagna era ancora bagnata dalla brina, puntuali, si presentarono nella tenuta di tziu Martine.
“Bene bennidos pitzinnos – disse l’uomo – Como ja benini sos manibales e cumintzamus derettu e collire s’uliba ”.
Giusto, il tempo di chiedere ai piccoli collaboratori, notizie di tziu Badore e tzia Frantzisca che, giunsero quattro o cinque uomini con altrettante donne, poche chiacchiere di circostanza, e tutti insieme, subito in direzione delle olive.
Il lavoro ebbe inizio come al solito, alcuni degli uomini, con sa mazadorja, altri, insieme alle donne e ragazzi con dei barattoli di lata da venti litri, nella raccolta, che questa, veniva eseguita con estrema difficoltà.
Infatti, sas prathas, erano mal fatte e sporche. Così durante la raccolta delle olive, spesso si veniva punti dalle numerose spine rimaste in “sos mutzos lassàos longos ” dei cardi.
In una situazione del genere, gli adulti con mani più esperte e callose, riuscivano più facilmente, mentre per i poveri ragazzi, era una vera tortura.
Infatti, non riuscivano a vedersi, neanche in lontananza, risultati positivi, o da considerarsi incoraggianti.
Prima che questi, riuscissero a riempire uno dei barattolo, le persone adulte, presumibilmente, potevano colmarne almeno tre o quattro.
Sicuramente, se pur lavorando con estremo impegno, loro stessi, si rendevano conto che, i risultati sarebbero stati negativi.
“Dai pitzinnos, chircae de bi ponnes prus capu – affermò tziu Martine, dirigendosi verso i ragazzi con una nuova proposta – Dazebos ite fachere, e cada bòte chi prenades, bor dao bindichi francos. Chimbe peromine ”.
La proposta dell’uomo sembrava più che interessante, e così i tre accettarono la sfida con se stessi. Da quel momento, nonostante le spine dei cardi, l’impegno doveva essere superiore a qualsiasi ostacolo, poiché, non sempre avevano l’opportunità di poter intascare qualche soldino.
L’entusiasmo non mancava, ma messi alla prova, per riempire gli enormi barattoli, occorreva troppo tempo, e dunque, vedevano sfumare il sognato gruzzoletto.

Quando stavano per perdere ogni speranza e lasciarsi andare alla semplice raccolta, a Gonario venne una bella idea. “Visto che le stiamo raccogliendo molto distanti da tziu Martine, e quindi non ci può vedere, possiamo riempire il barattolo di fieno, e poi, nella parte superiore, mettiamo quattro o cinque dita di olive, illudendo gli altri che, il nostro barattolo sia pieno. Che ne dite? Luiseddu e Piero, considerarono che solo in quel modo potevano entrare in possesso di qualche soldo, acconsentirono.
Si collocarono al lavoro negli alberi leggermente distanti, in posizioni semi-nascoste dagli occhi indiscreti di tziu Martine e compagnia, camuffando con calma, il contenuto del barattolo e, complettandolo nella superficie, con delle olive ben pulite da qualsiasi residuo di fieno.
Dopo di che, Gonario e Luiseddu, presero in mano uno a destra e l’altro a sinistra il barattolo, fingendo di fare una grossa fatica per il peso. Passarono dinanzi al loro datore di lavoro: “Tziu Martì, bienne sezis unu bòte l’àmus prenu a cucuru – disse Gonario – Ja àmus chircau de nor dare ite fachere ”.
“Bravos pitzinnos, gai mi piaghides, bio chi su dinare ja bor fachet travallare fintzas sentza gana – rispose perplesso, ma ben soddisfatto l’uomo – Como irboidaelu in su muntone chi bes cudhai, e sichide a contipizare in su matessi modu ”.
Detto fatto, andarono verso il mucchio delle olive posto in uno spiazzo poco distante e, cercarono in ogni modo di non farsi notare svuotarono il barattolo, per poi riprendere immediatamente il trucco usato precedentemente.
“Dobbiamo fare con furbizia, piano-piano – disse Luiseddu – Altrimenti, tziu Martine si accorge dell’espediente e all’ora saranno guai seri”.
“Hai effettivamente ragione – replicò interessato alla proposta Gonario – Facciamo in modo che, non riesca a sospettare. Noi dobbiamo essere più furbi di lui, e così, avremo soldi e, questa sera, quando si finirà, non saremo stanchi”.
Così fecero, ripetendo la stessa azione anche per il secondo barattolo, “Biendhe sezis comente semus fachendhe su travallu cun cussentzia – Disse Gonario rivolto all’uomo – como àmus cumpresu menzus comente si depete fachere collinde s’oliba, bi depiamus picare sa manu ”.
Il gioco se pur con prudenza, continuò per l’intera giornata, senza che nessuno si rendesse conto dello stratagemma che, i tre piccoli imbroglioni, avevano escogitato.
A lavoro ultimato, i barattoli raccolti erano ben tredici, un numero sicuramente soddisfacente.
Prima di riprendere il viaggio per Nuoro, tziu Martine, prese dalla tasca dei pantaloni un vecchio portamonete e rivolto ai giovani truffatori disse: “Benie pitzinnos, chi bor depo dare sa paca, chi oje cun cussentzia e impinnu bos azes meritau ”.
Tirò fuori alcune monete e…. “Su contu fachete chimbantachimbe francos peromine, ma si comente apo cumpresu chi àzes postu bolontade e sacrifitziu, tezi, bor dò settanta a cadaunu, e ispendhidebollos pro cosas bonas ”.
I ragazzi, ritirarono i soldi e gioiosi, ringraziarono l’uomo, e subito dopo intrapresero la strada verso il rientro, pensando al piccolo bottino che si erano guadagnati.
“Certo era difficoltoso raccogliere quelle olive, in mezzo a quelle erbacce e ai cardi, forse non dovevamo farle questo torto a tziu Martine – disse, risentito Luiseddu – Lui è stato tanto generoso con noi e invece l’abbiamo ripagato imbrogliandolo in quel modo.
Anche Piero, condivideva la tesi appena esposta da fratello “E’ vero, certo i soldi ci fanno comodo, ma se dovesse arrivare la notizia alle orecchie di babbo, saranno guai seri per tutti e tre”.
“Avete ragione è stata una brutta azione perpetrata ai danni di una persona gentile e onesta – replicò, chiudendo il discorso il fratello maggiore – ma ormai è fatta, per ora cerchiamo di goderci questi soldi, e se un domani tziu Martine ci dovesse cercare per aiutarlo in qualche altra cosa, non gli vogliamo più niente.

 

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