Llolaos
di Giorgio Piras

 

 

Capitolo I

Camminava seguendo il percorso tracciato nei secoli da migliaia di passi prima di lui.

L’alba prepotente irrompeva fendendo il buio e restituendo luce ad una nuova giornata primaverile.
I primi raggi del sole si specchiavano nel mare sottostante creando barlumi di luce sulla superficie irregolare che assomigliavano a migliaia di farfalle che giocavano impazzite.
L’odore selvatico degli ulivi si diffondeva nell’aria trasportato dall’evaporazione della brina.
Si soffermò nel menhir dedicato al suo famoso antenato, seguì con lo sguardo la goccia umida di brina che scivolava lentamente seguendo le linee tracciate dall’artigiano che secoli prima, con mano abile, aveva scolpito un occhio sul simulacro.
Tutt’intorno decine di stele, ognuna eretta ad eterna memoria di vite leggendarie ed origini divine. Tutte diverse fra loro per grandezza e iscrizioni, secondo l’importanza dell’eroe che ricordavano.
Il menhir del suo antenato era il più grande di tutti. Infatti, Norax era considerato il padre fondatore della città che portava il suo nome ed era un eroe leggendario.

Superò il cerchio dei menhir dirigendosi verso il dolmen dove Norax riposava. S’inginocchiò davanti al gigantesco monolito, chinò la testa e cominciò una silenziosa preghiera.
Rientrò a Norax mentre la città si stava svegliando. Dal promontorio degli avi con lo sguardo abbracciava il golfo dove più di mille anni prima l’eroe e Dio Norax aveva fondato la città.
Osservò le fortificazioni in pietra solida e squadrata che univano i nuraxi dalla forma conica posti ad ogni angolo. Si assicurò che le guardie fossero sveglie e vigili e si diresse verso il porto.
All’ancora c’erano centinaia di navi da guerra, “Is ferulas”, che con le loro dimensioni occupavano quasi interamente la rada del porto, alcune delle quali con ancora visibili i segni di recenti battaglie.
Salutò per nome ogni Capitano che incontrava, mentre al suo passaggio i guerrieri battevano la lunga spada sullo scudo tondo accompagnandolo con grida d’incitamento.
Attraversò la porta est. Sulla via del porto i mercanti e gli artigiani aprivano i loro banchetti mostrando la mercanzia.
Entrò nel nuraxi mannu mentre le cortigiane spegnevano le fiaccole ad olio e si diresse in cucina attirato dall’odore della zuppa d’orzo appena preparata.
<Llolaos, Mio Signore, sei andato ancora a pregare?> domandò Abealzu.
<Si, e dovresti farlo anche tu invece di perdere il tuo tempo qui nelle cucine del palazzo. Non rischi di diventare troppo grosso?> rispose canzonatorio Llolaos.
<Mio signore, preferisco affidarmi alla mia spada che pregare e inoltre, più sarò grosso e più facilmente respingerò il nemico.> rispose Abealzu accarezzandosi la pancia.
<Mio fedele amico, se continui così diventerai talmente grosso che per portarti sul campo di battaglia sarà necessario che quattro robusti uomini ti carichino su un carro>.
Si portò la tazza di argilla alla bocca sorseggiando la zuppa d’orzo ancora calda. Di sottecchi osservò Abealzu che scuoteva la testa in segno di disapprovazione.
<Osi giudicare il mio comportamento, grosso maiale?> domandò Llolaos.
<Mio signore, io vedo i pericoli che ci circondano, sento il complotto che ti minaccia, persino qui, a palazzo e tu invece di agire perdi il tuo tempo a pregare! Cosa ti succede, mio signore? Forse una Janas ti ha portato via il coraggio? Dammi un ordine e ti libero per sempre da questa marmaglia che tieni finanche a corte e che giorno dopo giorno prende forza.> Implorò Abealzu.
<Non è ancora giunto il momento che macchi di sangue la tua spada, amico mio. Io voglio riunire l’intero popolo dei Shardana, e non posso farlo se soffoco nel sangue l’intera corte ed i rappresentanti dei capiclan.>.
<Ma, Mio Signore…..>
<Basta Abealzu! Andiamo nella sala manna. Ci stanno aspettando!>.
<Dovremmo ucciderli tutti quei figli di porca dei Fenici e dei capiclan Shardana che li appoggiano, senza perdere tempo a discutere……..>.
Senza più ascoltare i lamenti del capo della guardia d’elite “is balentes”, si incamminò a passo deciso, seguito dal suo fedele amico, nella sala principale del nuraxi, posto al centro della città e che ospitava “Su Meri Pastori”. Titolo che spettava alla guida di quella antica civiltà, originariamente dedita alla pastorizia.
Entrò nella sala principale. Il sole che penetrava dalla sommità aperta del palazzo a forma conica, rischiarava il consiglio i cui membri sedevano su stuoie di pelle, formando un ferro di cavallo. “possa questo sole illuminare le loro menti e riscaldare i loro cuori”, pensò Llolaos mentre prendeva posto in testa al consiglio, in posizione leggermente rialzata su una pila di pelli finemente lavorate.
Tutti i capiclan sfilarono le loro spade adagiandole sul pavimento con l’elsa rivolta verso “Su Meri” in segno di fedeltà. Una seconda fila era formata dai rappresentanti Fenici che sedevano disarmati.

Il sole illuminava il giovane volto di Llolaos, e i giochi di luce ed ombre conferivano al suo viso un aspetto ancora più imponente ed austero. I folti capelli bruni brillavano per effetto dell’olio. Come il suo corpo che pareva scolpito nella pietra. Le numerose cicatrici, ricordo di molte battaglie, contrastavano per il loro biancore con la carnagione olivastra.
Llolaos indossava un’armatura leggera di cuoio abilmente lavorato, con un gonnellino di juta e gambali su robusti sandali anch’essi in cuoio.
Sfilò la spada e impugnandola la portò perpendicolare al corpo in segno di saluto, quindi l’adagiò a terra e cominciò a parlare :
<Barones, saluri e trigu a tutti voi> nel saluto tipico dei Shardana augurava salute e abbondanza di grano, quindi nella maniera Fenicia annunciò :
<Alleati Fenici, amici, che il sole illumini il vostro cammino per infiniti giorni>. Poi con tono più solenne continuò :
<Ormai l’esercito cartaginese è alle porte. Il generale Asdrubale con la primavera si appresta all’assedio di Norax, i nostri informatori rivelano che ha riunito un possente esercito che noi da soli non potremo contrastare. Le mie intenzioni sono quelle di inviare i miei ambasciatori presso le corti di tutti i clan dei Shardana per poterli convincere ad unirsi nella lotta contro Asdrubale.>
<Su Meri> pronunciò Atzaxo alzandosi in piedi, con la sua voce ruvida. Egli era il più anziano dei Barones del consiglio, aveva combattuto con il padre di Llolaos le faide interne che avevano insanguinato la regione.<Come intendi convincere Is Meres di Casteddu, di Llolai, di Balari e di Corsu ad intervenire in nostro aiuto contro le forze cartaginesi? Dimentichi forse che per decenni hanno cercato, coalizzandosi, di sterminarci?>
Llolaos riflettè un momento prima di rispondere.
<No. Non lo dimentico Atzaxo, ma voglio convincere Is Meres dei Shardana ad unirsi a noi contro l’invasore perché se non lo faranno ed i cartaginesi prendono Norax tutta la Shardinia sarà in pericolo. Conquistato il nostro porto i cartaginesi possono apprestarsi ad una lunga campagna di conquista che finirà col distruggere tutta la nostra civiltà.>
<Quel che dici è vero, mio Signore> disse Moxalo, il più possente e prestante fra i Barones. <Ma sarà più forte la paura dei cartaginesi o l’odio per Norax a decidere per Is Meris?>.
Llolaos guardò ammirato Moxalo, i suoi tratti nobili conferivano alla figura possente una naturale eleganza che affascinava chiunque. Le trecce dei suoi capelli portate nella maniera Fenicia arrivavano fino alle spalle, l’armatura di bronzo indossata sopra una leggera tunica lasciava scoperti i suoi possenti bicipiti.
<Questo non posso saperlo> rispose <Ma è nostro dovere tentare, per Norax e per tutti i Shardana.>
E così dicendo guardò ad uno ad uno tutti i membri del consiglio, prima di continuare : <Manderò inoltre una delegazione che chiederà l’appoggio dei nostri alleati Fenici.>
A queste parole Abealzu, seduto al suo fianco gli si accosto mormorando al suo orecchio : <Sei pazzo, Mio Signore, quel popolo di mercanti schiererà i suoi guerrieri solo dalla parte dei vincitori, rischieremmo di averli contro mentre sono nelle nostre file.>
Llolaos non rispose se non con un gesto stizzito del capo e proseguì :
<Quindi, miei fedeli amici vi invito a pronunciarvi. Votate la mia decisione se questa vi pare giusta.>
Ad uno ad uno i Barones del consiglio in maniera solenne si apprestavano alla votazione che consisteva nel lasciare la spada con l’elsa in direzione de Su meri in segno di approvazione o volgere la lama nella medesima direzione per esprimere disapprovazione. Tra i dodici membri del consiglio solo Bustianu volse la sua spada. E dopo essersi alzato in piedi con il capo chinato disse :
<Mio Signore, tu sai che la mia fedeltà in te è ferma e sicura. Ma la mia famiglia ed il mio Clan hanno subito sanguinosi attacchi da parte dei Llolai confinanti con le mie terre. Non potrei averli vicino in battaglia senza pensare di trapassare con la mia spada quei figli di porca.> mentre diceva questo si massaggiava la tempia deturpata da un colpo d’ascia di un guerriero del clan Llolai, continuò quindi :
<Comunque ritengo le tue ragioni e quelle del consiglio superiori alle mie e mi inchinerò quindi alla tua volontà ed alle decisioni che questo consiglio prenderà> e si sedette.
<Sappiamo quello che hai subito, nobile Bustianu> disse Llolaos in tono conciliante : <Sappiamo della perdita di tuo figlio che ancora oggi ti addolora e che addolora tutti noi. Ma il tempo delle faide deve cessare. Il nostro popolo deve unirsi, altrimenti come predetto da “sa filonzana” la nostra civiltà è destinata a scomparire.>.
Mentre diceva questo volse il suo sguardo verso Sa Filonzana che sedeva in disparte alla sala tra la Janas, una piccola fata delle rocce, e la Cogas, la maga di corte.
Teneva in mano il fuso e filava in continuazione un filo sottile che simboleggiava il destino di tutti, che lei conosceva. Vestiva di nero, con una maschera orribile sul viso,; la sua ambiguità provocò a Llolaos un brivido nella schiena, ma si sforzò di continuare :
<Quindi, con la vostra approvazione, nobili Barones, invierò i miei ambasciatori presso le corti di tutti Is Meres e mi recherò personalmente da Coghinas, Meri di Casteddu, città che tutti ormai chiamano in Fenicio Karalis. Partirò oggi stesso accompagnato dal mio fedele Abealzu e da venti dei suoi migliori uomini>.
Detto questo raccolse la sua spada. Con gesto sicuro la inguainò e attraversò la sala del consiglio ricevendo al suo passaggio cenni di approvazione dai Barones.
Guardò ancora una volta in direzione del sinistro gruppetto seduto in fondo alla sala e si accorse che le tre maghe parlottavano fra loro. Sa Filonzana, come se avesse sentito il suo sguardo lo ricambiò, e lui attraverso la maschera notò un sinistro luccichio che gli procurò un nuovo brivido.

Salì le scale che conducevano agli appartamenti reali, aprì la porta ed rimase alcuni istanti ad osservare la sua sposa che seduta si faceva lisciare i capelli da una giovane cortigiana. Quando la Regina volse il suo sguardo, quegli occhi penetrarono in Llolaos più a fondo di una freccia scagliata dal più abile degli arcieri.
Dopo tanti anni ancora rimaneva abbagliato da tanta nobile e fiera bellezza. I capelli corvini che incorniciavano l’ovale del viso perfetto, il suo corpo snello ed agile. Il suo sorriso contagioso e fresco.
<Bitta!> la chiamò Llolaos.
Con un cenno delicato lei licenziò la cortigiana, che si allontanò con un fruscio di vesti dall’appartamento reale, chiudendosi la porta alle spalle.
<Mio signore> rispose Bitta andandogli incontro.
<Stanotte eri agitata nel sonno. Quali incubi ti tormentano, mia amata moglie?> domando Llolaos.
<Ogni volta che ti appresti ad un viaggio sono tormentata da brutti sogni e da cattivi presagi, Mio Signore> rispose mentre appoggiava il suo viso nel possente petto del marito.
<Mia Regina, dovresti forse dare meno ascolto alla Cogas e più ascolto al tuo cuore, che non ho mai conosciuto cosi fatalista> la rimproverò.
<Mi dispiace amor mio, ma temo per te, in questi giorni cosi amari per il nostro popolo>.
Lui sentì la sua nudità attraverso la leggera tonaca che indossava, accostò la sua bocca a quella di Bitta assaporando una fragranza come di fiori e latte, la baciò con voluttà, accarezzando le forme dei suoi seni e dei suoi fianchi, mentre lei si aggrappava dolcemente ai folti capelli sopra l’orecchio.
Con delicatezza lui slacciò la leggera veste che le scivolò ai piedi. Mentre lei lo prendeva per mano dirigendosi verso il letto.
Fecero l’amore a lungo, concedendosi l’uno all’altra con passione ardente. Erano ancora distesi esausti, quando sentirono bussare.
La porta si aprì e la stessa cortigiana di prima entrò con in braccio il piccolo Norax che scalciava e protestava per la fame.
Lo porse a Bitta che lo avvicinò al seno calmandolo istantaneamente. Llolaos lo guardava ammirato, era così orgoglioso di quel bambino. Ogni volta che il suo sguardo si posava su di lui si sentiva pervadere da un senso di tenerezza infinito.
Accarezzò per qualche minuto i suoi capelli e stuzzicò i suoi piedini prima di alzarsi controvoglia.
Si rivestì indossando l’armatura da guerra con i pettorali di bronzo, cinse lo scudo tondo e la lunga spada. Tenendo l’elmo sotto braccio baciò la moglie ed il figlio e girandosi appena in tempo per non vedere le lacrime che solcavano il viso di Bitta si avviò verso la piazza d’armi dove Abealzu con venti dei suoi Balentes erano in attesa di partire.
Prima di montare a cavallo si infilò sulla testa l’elmo conico sormontato da due enormi corna di bue, quindi con gesto agile montò a pelo la splendida bestia che grazie ai Fenici aveva sostituito i piccoli cavalli che il popolo dei Shardana conosceva.
Imboccarono la strada che conduceva al porto, cominciando a scendere verso la darsena, dove erano più numerose le bettole e le osterie frequentate dai marinai, dai commercianti, dagli scaricatori e dai soldati della flotta. Norax viveva un periodo di prosperità ed il suo porto brulicava di vascelli che importavano ed esportavano merci in tutti i paesi del mare interno. Nel quartiere meridionale, dove c’erano i magazzini, era possibile udire vari idiomi : l’ellenico, il fenicio, il miceneo, persino l’egiziano.
Superato il porto presero la strada costiera in direzione di Karalis. La primavera cambiava rapidamente il paesaggio solitamente brullo e pietroso, regalando variegate sfumature di colore. L’aria si riempiva dell’odore della murta in fiore.
Oltrepassato il crinale perse la vista della città, e fu pervaso da un senso di impotenza e leggera angoscia come un padre che perda di vista suo figlio.
Cavalcava accanto ad Abealzu, insieme ammiravano il mare sottostante che si infrangeva sugli scogli bianchi della costa; sulla spiaggia un pescatore con la sua famiglia era intento a riparare le reti.
<Mio signore, pensi di riuscire a convincere Coghinas alla tua causa?> domandò Abealzu.
<Su Meri di Casteddu, da quando è morto il padre, si é sempre dimostrato leale con Norax, lui non avrebbe mai guidato i suoi uomini contro fratelli Shardana. Quindi credo che mi appoggerà contro i cartaginesi>. Rispose Llolaos.
<Ma come farai con Fisiu, Antoniccu e Danilo? Per secoli ci siamo scannati, non sarà facile che ci appoggino contro i cartaginesi>. Osservò Abealzu.
<Si certo, mio fedele amico, non sarà facile. Ma le ragioni che ho espresso in consiglio, le ritengo valide anche per teste dure come loro>.
<Mio Signore, forse riuscirai a convincere Fisiu e Danilo, ma Antoniccu si sente talmente protetto dalle montagne della sua terra da ritenersi invincibile in casa propria>. Insistette Abealzu.
<Quella testa dura de Su Meri di Balari sarà certamente il più duro da convincere, ma se tutti i clan saranno dalla nostra parte, uniti nella causa comune, lui non potrà far altro che schierarsi al nostro fianco,> disse convinto Llolaos.
Centinaia di gabbiani banchettavano sulla scia di una ferula da pesca, lanciando striduli e acuti strilli.
Nelle colline circostanti greggi di pecore pascolavano tranquille sotto l’occhio vigile de “su pastori”, che al loro passaggio sollevò il lungo bastone ricurvo in segno di saluto.
Arrivarono in vista di Karalis quasi a sera, e la vista della città impressionò i viaggiatori. Il rosso del tramonto conferiva alle sue mura, se possibile, ancora più imponenza.
Il perimetro era enorme e decine di nuraxi erano stati eretti a protezione della città.
In posizione sopraelevata nel colle di Monte Claro, si ergeva il nuraxi mannu, casa de Su Meri di Casteddu, Coghinas.
Nel porto sostavano decine di ferulas di diverse dimensioni, le più grandi delle quali misuravano oltre i 40 metri e le cui gigantesche vele ripiegate formavano una croce con il lungo albero.
La flotta di Karalis era considerata unanimemente la migliore di quei mari. Grazie a lei secoli prima i Shardana avevano sconfitto e cancellato tutte le civiltà del mediterraneo.
Il drappello arrivò alla porta ovest della città. Gli arcieri in cima ai nuraxi ai lati della porta li osservavano minacciosi.
Llolaos, solo, si avvicinò a portata di voce dal capomuta delle guardie, un uomo dall’aspetto ruvido che con voce stridula gli intimò :<Fermo! Chini ses tui? Itta bolisi!>.
<Seu Llolaos, Su Meri de Norax, e bollu chistionares con Su Meri de Casteddu!> rispose Llolaos esprimendo il desiderio di parlare con Coghinas.
<Attura innia!> disse l’uomo intimandogli di attendere.
Llolaos smontò da cavallo e lo accompagnò per le briglie ad una zona erbosa vicina, subito imitato dalla sua guardia. Si sedette quindi in paziente attesa ai bordi della strada.
Si mise un vello di pecora sulle spalle per proteggersi dal vento del mare che, ora che il sole era calato, si faceva pungente procurandogli brividi di freddo.
Le navi si apprestavano a rientrare nella rada illuminata del porto, quando la grande porta della città si aprì.
L’uomo ruvido di prima gli si fece incontro e con un leggero inchino del capo disse: <O’ Su Meri! Sighimmi>, invitando Llolaos a seguirlo.
Questi fece un cenno ai compagni prima di montare a cavallo e seguire l’uomo.
Lloaos e il suo drappello attraversarono la grande porta e proseguirono fra gli sguardi dei cittadini fino alla caserma principale dove furono fatti sostare i componenti della guardia di Llolaos; fu consentito al solo Abealzu di seguire il suo Re.
Le vie della città erano animate dal movimento della gente che rincasava dopo il lavoro. Gli artigiani ed i commercianti si apprestavano a chiudere le loro botteghe.
La strada che portava a palazzo era lastricata di pietre e ornata ai bordi da piante profumate e ben curate.
In ogni casa le donne accendevano il focolare al centro della stanza nel modo tipico di quelle genti.
<Qual è il tuo nome, soldato?> domando Llolaos all’uomo che li guidava.
<Pheleo, Signore, sono di origine cretese> rispose il capo delle guardie.
<L’avevo intuito dal tuo aspetto, soldato!> disse mentre superavano un thopet. Luogo per i sacrifici alle divinità e dove venivano bruciate le salme dei defunti.
Arrivati in cima al Monte Claro, si ergeva imponente il nuraxi mannu. Entrarono nella sala manna, sede della corte di Coghinas. Al centro della sala un focolare crepitava sprizzando scintille provocate dall’umidità dei rami di ulivo che bruciavano.
Da una delle finestre della sala “Su Meri de Casteddu” ammirava il paesaggio sottostante. Il porto si animava di nuova vita con i marinai che sbarcavano per infilarsi nelle bettole della darsena dove era facile trovare compagnia in anfore di vino forte e donne compiacenti.
<Mio buon amico, ricordo i tempi in cui questa città era animata da commercianti e mercanti più che da guerrieri> disse senza voltarsi Coghinas.
Llolaos e Abealzu posarono un ginocchio in terra sfilandosi l’elmo. <Saluri e trigu, Signore di Casteddu> formulò Llolaos.
<Alzati, ti prego, Llolaos. Tu sei un mio pari, non è dovuto che ti inchini a me. Vieni piuttosto scaldiamo le nostre membra vicino al fuoco> così dicendo si sedette in una grossa panca di pietra posizionata intorno al focolare invitando l’ospite accanto a lui.
Un servo accorse porgendo ai dignitari due coppe di bronzo ricolme di vino rosso.
<Accompagna il nobile Abealzu alle cucine affinché trovi ristoro> disse Coghinas al servo. <E occupati di qualsiasi cosa abbisogni>.
<T’arrengraziu Su Meri> ringraziò Abealzu con un inchino, attendendo un gesto di assenso dal suo Re prima di seguire il servo.
<Allora amico mio, ti ascolto perché non mi illudo che la tua sia una semplice visita di cortesia. Avanti dunque, parla!> disse Coghinas mentre con un ramo indurito dalle fiamme riassestava il fuoco.
<Oggi ho tenuto consiglio. I miei informatori rivelano che la flotta cartaginese è pronta ad abbattersi su Norax. Ho bisogno del tuo appoggio per ricacciare Asdrubale ed i suoi uomini nell’inferno da dove sono venuti. Dopo la morte di tuo padre noi abbiamo ambedue governato le nostre terre interrompendo la guerra fraterna che ci divideva> disse Llolaos posando una mano sulla sua spalla <se i Cartaginesi avranno la meglio su di noi, niente li potrà fermare. Distruggeranno queste terre e con essa la nostra civiltà. Ti prego quindi di unirti a me contro quei figli di porca> supplicò Llolaos.
Coghinas guardò negli occhi Llolaos, si mosse nervosamente sulla panca e con gesto civettuolo si rassettò i capelli. Il suo profilo appariva deformato dalle fiamme che si specchiavano sul suo viso, ma nonostante questo era di una bellezza quasi perfetta. La sua fronte era ampia e liscia ed i suoi occhi grandi erano leali e sinceri, non indossava l’armatura ma la tunica di juta faceva trasparire le forme scolpite del suo corpo.
<Fratello! Anche i miei informatori rivelano dell’esercito di Asdrubale che ti minaccia. Ma parlano anche di una moltitudine di oltre 500.000 mila guerrieri e più di mille navi. Come intendi contrastarli senza l’appoggio di tutti i Shardana?> domandò Coghinas.
<Ho mandato i miei ambasciatori da tutti Is Meres della Shardinia e sono venuto personalmente da te perché sono convinto che se ottengo il tuo appoggio riunire l’intera coalizione sarà più facile> rispose Llolaos.
<Io sono con te. Perché è meglio combattere che attendere di essere colonizzati o peggio ancora distrutti.> affermò Coghinas.
<Ti ringrazio amico mio, ti informo anche che oggi è partita una ferula con l’ambasciata per l’imperatore fenicio, anche lui dovrà aiutarci se vuole salvaguardare i suoi avamposti commerciali in Shardinia!>
<Su questo non ci conterei troppo Llolaos, conosci i Fenici. È un popolo avido che non conosce la lealtà, scommetto che sono già in trattativa con i cartaginesi per comprarsi il mantenimento dei loro insediamenti in caso di nostra sconfitta!>
<Se così fosse, e non tarderò a scoprirlo, li cacceremmo per sempre dalle nostre terre> rispose Llolaos.
<Scusami amico mio, questo gran parlare mi ha fatto dimenticare i miei doveri di ospite>, detto questo batté le mani e prontamente fecero il loro ingresso alcuni schiavi con stoviglie colme di cibo e frutta fresca.
Posarono nei bordi del camino delle saffate di sughero con orate e mugini arrostiti, carni di agnello e di maiale, uva, pirichocce e figu morisca.
Prima di tuffarsi nell’invitante pasto, brindarono alla nuova alleanza.

Il mattino successivo fu svegliato prima dell’alba dalle grida di Abealzu che provenivano dalla stanza accanto alla sua. Si proiettò fuori dal letto e corse, ancora nudo, verso la stanza da cui provenivano urla ed imprecazioni. Appena aprì la porta una giovane ragazza, reggendosi le vesti con le mani, sgattaiolò fuori.
<Mari mussiau cussa bagassa> urlò Abealzu con le mani sull’inguine.
<Guarda Llolaos, guarda cosa mi ha fatto> disse mostrando i segni lasciati dal morso della ragazza sul suo inguine.
Llolaos non poté trattenersi, si lasciò andare ad una fragorosa risata prima di annunciare: <Abealzu, amico mio, non hai ancora imparato che le donne diventano schiave solo per amore? Orsù vestiti ora>.
Rientrò nella sua stanza mentre i primi tiepidi raggi di sole penetravano dalla finestra. Si affacciò e uno spettacolo magnifico lo rapì. Il disco solare si ergeva come venisse fuori dall’acqua, appariva tremolante attraverso la fumana di calore che produceva. Una scia rosso melograno attraversava il mare fino al porto espandendosi a vista d’occhio, come un fuoco si allargava sempre più cambiando colore. Dal rosso all’arancione fino a coprire con un manto giallo l’intera città.
Rimase li alcuni minuti, godendo il piacere di quei raggi benefici prima di vestirsi.
Mentre indossava l’armatura fu colto da un improvvisa idea. Abealzu interrupe i suoi pensieri : <Su Meri, Coghinas ci sta aspettando>.
<Bene, andiamo> disse Llolaos e si incamminò attraverso la stretta scala che portava verso la piazza d’armi, seguito da Abealzu che camminava ancora contratto per il dolore all’inguine.
Uscirono all’esterno costretti a proteggersi gli occhi dai raggi solari che arrivavano perpendicolari sul Monte Claro. Coghinas montava una splendida giumenta bianca che pascolava tranquilla mentre il suo cavaliere da quella posizione privilegiata osservava la città sottostante.
Llolaos intuiva i suoi pensieri, riconoscendo lo stesso senso di protezione che gli era proprio quando guardava Norax dal promontorio degli avi.
<Saluri O’ Su Meri> annunciò Llolaos.
<Salute a voi, amici miei! Spero abbiate dormito bene e che la mia dimora vi abbia offerto ristoro!> rispose Coghinas continuando poi :
<Mio caro amico, so quanto ti piace la caccia, quindi mi sono permesso di prepararti una piccola sorpresa! Appena fuori dalla città nel bosco ad ovest i miei uomini hanno individuato un sirboni di almeno 300 kilos. Sarebbe una bella preda per te?> domandò con un sorriso canzonatorio.
<Cosa aspettiamo ancora qui. Che il sole alto costringa quella meravigliosa bestia a rintanarsi in un anfratto fresco? Fammi strada, amico> rispose entusiasta Llolaos.
Attraversarono la piazza d’armi dove decine di guerrieri, sotto l’occhio vigile degli Ufficiali si addestravano. Decine di carri erano impegnati in manovre veloci e spericolate dove gli arcieri sotto la conduzione dei loro auriga scagliavano frecce a ripetizione contro pagliericci dalle sembianze umane.
Altri guerrieri si addestravano con le lance e con le spade producendo un suono ritmico di metallo.
Llolaos e Abealzu rimasero piacevolmente sorpresi dal grado di addestramento dei soldati casteddai e si complimentarono con Coghinas.
Uscirono dalla porta ovest dopo aver attraversato la città, e subito svoltarono a sinistra verso un sentiero che abbandonava la strada principale per dirigersi verso il bosco ai margini del quale erano attesi dai battitori pronti e già eccitati per la caccia.
Ad un cenno del loro Re questi presero a battere con canne su grossi tamburi di vescica d’asino, mentre Llolaos, Coghinas, Abealzu e Pheleo spronarono i loro cavalli in direzione del punto di posta. Messi i cavalli al sicuro, in una rada protetta da rocce, si appostarono in attesa del sirbone, sospinto fin lì dai battitori.
Trascorsero minuti interminabili durante i quali ognuno dei quattro uomini si guardava in cagnesco, per la naturale rivalità fra cacciatori. Ognuno di loro si era appostato dove riteneva fosse meglio in base alla propria esperienza. In quel momento non esistevano Re, Nobili, guardie, o servi, erano semplicemente cacciatori.
Il sirbone poteva arrivare al punto di posta solo attraverso una stretta stradina delimitata dalla sinistra da un declivio del terreno e sulla destra da una folta e impenetrabile macchia mediterranea.
L’incessante ritmo dettato dai battitori si faceva sempre più frequente e vicino. Tutti e quattro gli uomini tesero il loro arco da caccia puntandolo in un punto immaginario del terreno dove prevedevano che l’animale sarebbe passato.
Coghinas era il più vicino alla stradina, con il mezzobusto che affiorava dalla macchia mediterranea. La terra fra gli arbusti, complice l’umidità non ancora assorbita dal primo sole, cedette, facendo scivolare Coghinas di lato così che perse l’equilibrio fra le risate dei presenti.
Era ancora intento a ripulirsi i gambali dalla terra quando sentì un calpestio tremendo a poche decine di metri da lui. Sollevo l’arco ma il poco spazio che divideva l’arma dalla fiera non gli permetteva di scoccare la freccia.
Stava per gettarsi di lato per scartare l’avanzata della tremenda bestia quando un sibilo gli sfiorò l’orecchio destro e vide la freccia scagliata con mirabile abilità conficcarsi nell’occhio de su sirboni, uccidendolo all’istante. Come sospinto da una forza di gravità l’animale proseguì la sua corsa per pochi passi ancora prima che le zampe cedessero e scivolasse con il corpo fino ai piedi di Coghinas, dove si arrestò fra un turbinio di polvere.
Ancora sudava copiosamente per lo scampato pericolo, quando sentì la voce canzonatoria di Llolaos che diceva :
<Amico mio, mi hai ingannato, questo non è un birboni, è un toro! Hai visto le dimensioni? Per Baal non ho mai visto un sirboni come questo! Peserà almeno 400 kilos. Non ci sono cinghiali così dalle nostre parti vero Abealzu? > domandò.
<Ti sono debitore della vita Llolaos!> disse Coghinas in tono solenne, <se avessi scagliato la tua freccia un attimo dopo avresti dovuto raccogliere anche me da terra>.
<Non ci pensare, Fratello. Così e stato più divertente>, rispose Llolaos mentre si chinava verso la bestia per girarla, prontamente aiutato da Abealzu e Pheleo.
Prese quindi il suo pugnale di duro bronzo con l’impugnatura finemente lavorata, e dopo avere praticato un’incisione tra le costole della fiera, estrasse il cuore e con le mani a coppa lo porse ancora caldo e palpitante a Coghinas.
<No fratello! Il primo morso spetta a te> sentenziò questi. Allora Llolaos affondò i denti nel cuore della bestia staccandone un lembo che prese a masticare voracemente. Passò poi il macabro trofeo a Coghinas che imitò il suo compagno prima di cederlo ad Abealzu e Pheleo. Quel silenzioso e antico rito assicurava ai cacciatori l’assorbimento della vitalità della fiera uccisa.
Dopo il cerimonioso banchetto, ancora eccitati dal sangue appena bevuto, montarono in sella mentre i battitori si apprestavano a trasportare la bestia in cittá dove secondo tradizione sarebbe stata divisa fra i partecipanti alla battuta.
<Compagni, rientriamo dalla porta sud attraverso il porto, faremo un giro un po’ più lungo ma sicuramente più piacevole.> Propose Coghinas.
<A quest’ora le massaie di un villaggio vicino sono al fiume per lavare i panni e fare il bagno. Per questo il Mio Signore vuol passare dal fiume.> disse Pheleo ad Abealzu.
<Schiavo insolente, ti ho sentito sai? Ma cosa vuoi farci? Noi Shardana siamo tradizionalisti, Preferiamo ancora le femmine ad un culetto delicato di un ragazzino come voi cretesi> rispose Coghinas fra le risate di Llolaos e Abealzu.
Arrivarono ai margini della foresta delimitata dal fiume. Con grande delusione la rada naturale appariva deserta. La spiaggia, formata da piccolissimi ciottoli di pietra bianca, dove ogni mattina le donne del vicino villaggio usavano lavare i panni accompagnando il lavoro con giochi e canti, era vuota, silenziosa.
Attraversarono il piccolo pontile in legno di quercia che portava alla strada verso il villaggio ed interrotto da una porta dello stesso legno sostenuta da due torri di sentinella, vuote anch’esse. Passarono attraverso la porta semiaperta.
Decine di capanne con mura di pietra e tetto in canne intessute, tutte uguali, tutte vuote. Nessun segno di presenza umana. Fuochi spenti, attrezzi abbandonati nelle messi, porte delle capanne spalancate.
<Ho, inza`! Aundi seisi!> Allora! Dove siete? Urlò Coghinas.
Nessuna risposta. Arrivarono dall’altra parte del villaggio ed attraversarono una porta uguale all’altra che dava verso i campi.
Superato un leggero pendio, nel crinale che si affacciava al mare li gelò uno spettacolo terrificante.
Decine di pali conficcati per terra sostenevano altrettanti uomini infilati per il mento. Due file parallele sui filari appena smossi dall’aratro. Quegli uomini erano stati impalati vivi. Mentre si domandavano cosa fosse successo e chi mai avesse potuto compiere un simile massacro, udirono delle grida provenire dalla spiaggia sottostante il crinale.
Spronarono i cavalli ed in pochi istanti furono in vista della spiaggia.
Due navi erano all’approdo e cercavano di caricare a bordo le donne e i bambini superstiti del villaggio, che urlavano e si dibattevano.
Una donna con il suo bambino in braccio cercò di scappare. era arrivata quasi in cima al crinale quando fu raggiunta dal suo aggressore che la spinse a terra. Poi le strappò il bambino dalle braccia afferrandolo per i piedini. Roteo il piccolo corpo fracassandogli il cranio in un masso.
Il sordo e secco rumore prodotto dall’esplosione della testa del piccolo fece impazzire di rabbia Coghinas che si proiettò in avanti sfilando la spada ed in un unico movimento tranciò di netto la testa all’assassino.
Llolaos lo seguì immediatamente mentre Abealzu e Pheleo cominciarono a scoccare frecce in direzione degli aggressori che trattenevano gli ostaggi.
Gran parte dei guerrieri era già a bordo, e mentre questi tentavano di scendere dalle navi per contrastare l’aggressione, venivano uccisi quando ancora erano a mezz’aria dalla spada di Coghinas o dall’ascia di Llolaos.
Intanto le donne ed i bambini liberati fuggivano disordinatamente cercando rifugio oltre il crinale.
Tra i due equipaggi gli sconosciuti aggressori formavano una compagnia di almeno trenta uomini, ma ormai erano rimasti non più di sei o sette uomini per nave, che seduti ai remi ed incitati dai loro comandanti cercavano di allontanarsi da quei due demoni che avevano ucciso i loro compagni.
Ma Coghinas e Llolaos non intendevano lasciarsi scappare i responsabili della morte atroce di poveri contadini e pastori loro fratelli.
Si arrampicarono sulle murate delle navi, una per ciascuno, e protetti dalle frecce scagliate da Abealzu e Pheleo si issarono a bordo.
Coghinas fronteggiò il capitano con il timoniere che attaccarono simultaneamente. Trafiggendo il collo del primo e parando l’attacco del secondo con lo scudo tondo per poi usarlo come arma per fracassargli il cranio prima che cadesse oltre la murata della nave. Fece in tempo ad uccidere altri due rematori prima che il resto dell’equipaggio si gettasse in acqua cercando salvezza nel mare. Lasciò allora cadere le armi, raccolse un arco ed una faretra abbandonati dai rematori in fuga e tirando abilmente abbatté uno dopo l’altro i nemici.
Si girò per constatare la situazione dell’altra nave e vide Llolaos che fronteggiava l’assalto di sei uomini contemporaneamente. Non usava lo scudo, nella destra impugnava la spada e nella sinistra l’ascia bipenne che roteava nell’aria disegnando figure eccentriche. Stava per saltare per dar man forte al compagno, quando un urlo terribile di Llolaos che si apprestava a contrattaccare, lo obbligò a fermarsi ad osservare la danza di morte che l’amico si apprestava ad eseguire.
Colpì prima quello che appariva il capo di quella accozzaglia di predoni con l’ascia, trapassando l’armatura e penetrando a fondo nelle carni. Sempre roteando l’ascia staccò parte del cranio ad un altro, mentre con la spada trapassava un soldato che si era scoperto il fianco portando un attacco. Una freccia, probabilmente scagliata da Abealzu, abbatté un quarto uomo che lo stava attaccando da sinistra.
I due superstiti gettarono le armi e si inginocchiarono supplicando Llolaos affinché li risparmiasse.
Llolaos guardò Coghinas e senza volgere lo sguardo con un unico fendente decapitò i due pirati.
Tutti e due si appoggiarono esausti alla murata della nave. Il canglore del bronzo ronzava ancora nelle loro orecchie restituendo le terribili immagini del massacro appena compiuto. Rimasero silenziosi per alcuni minuti prima di scendere sulla spiaggia e lavarsi il sangue sfregandosi la sabbia umida dell’arenile sulla pelle.
Abealzu e Pheleo issarono a bordo i cadaveri mutilati e appiccarono il fuoco alle navi prima di sospingerle al largo.
<Chi erano secondo te?> chiese Llolaos a Coghinas mentre infilava la spada nella battigia per lavarla dal sangue.
<Non lo so, amico mio, ma viste le dimensioni della nave non arrivavano da lontano, potevano essere achei di Miocene> rispose Coghinas
<Non credo, hai visto le armi che portavano? Spade lunghe e non corte come gli achei, e non parlavano la lingua achea. Sembravano piuttosto uomini di Hattusa.> Osservò Llolaos.
<Ma con Hattusa ho buoni rapporti, mi sembra improbabile un’aggressione.>
<Possono essere degli esiliati, dei criminali in fuga. Mah. Proviamo a sentire le donne. Forse hanno potuto cogliere delle informazioni durante l’aggressione che hanno subito.> propose Llolaos.
Le donne erano raccolte al centro del villaggio. Non osavano guardare in direzione dei macabri pali. Piangevano disperatamente i loro mariti, i loro padri e fratelli così orribilmente assassinati.
Prima di sottoporre qualsiasi domanda alle donne, Coghinas propose di tirare giù quei poveretti e dargli sepoltura, affinché le donne potessero erigere una colonna di pietre a loro ricordo e poterli piangere dignitosamente.
Si apprestarono quindi al triste e duro lavoro. Abealzu e Pheleo scavarono le fosse proprio a ridosso del villaggio, mentre i due Re ricomponevano i miseri resti lavandoli dal sangue nell’acqua del fiume prima di calarli nella fossa.
Le donne silenziosamente raccoglievano pietre bianche e tondeggianti dal fiume per costruire un tumulo sul proprio caro.
Il sole era ormai calato quando ebbero finito. E come a sottolineare quell’infausta giornata il tramonto colorava di rosso le nuvole frastagliate dal vento. Llolaos si accorse che Coghinas piangeva sommessamente e questo aumentò ancora di più la stima in lui.
Accesero un grande fuoco dove arrostirono un bue anch’esso ucciso dalla furia degli sconosciuti aggressori. Mentre la grande bestia girava sul fuoco facendolo crepitare per il grasso che colava, Coghinas con il coltello tagliava ampie strisce di carne che offriva prima ai bambini e poi alle donne.
<Chini fianta cussusu Nannai?> azzardò Llolaos a quella che sembrava la più anziana ed alla quale le altre donne mostravano rispetto, e che anche lui nella formula di considerazione dovuta agli anziani chiamò vecchia nonna.
<E tui chini sesi?> e tu chi sei ? domandò la donna sospettosa guardandolo dritto con i suoi occhi liquidi per le lacrime e contemporaneamente opachi per l’età avanzata.
<Io sono Su Meri di Norax e fraterno amico de Su Meri de Casteddu, tuo Signore e sono anche quello che ha salvato la tua pellaccia. Vecchia sospettosa!> rispose stizzito Llolaos.
<Scusaimì O` Su Meri, ma sono ancora sconvolta per la perdita della mia famiglia> con un lembo della veste si asciugò la lacrime che rigavano le sue raggrinzite guance prima di continuare: <Non so chi fossero quei maledetti! Parlavano una lingua mai sentita. Ma quello che ti posso dire è che ieri il villaggio ospitava due mercanti fenici con il quale il mio povero marito, che era il capo bidda, era in affari. Stavano comprando parte del nostro raccolto. Quando siamo stati aggrediti, stamane prima dell’alba, erano spariti. Ma la cosa più strana che ho notato erano i fuochi accesi sulla spiaggia che ho visto quando quei figli di porca mi stavano trascinando via. Come a segnalazione di un approdo.>
<Pensi dunque che i fenici abbiano acceso i fuochi e che fossero complici degli stranieri?> domandò Llolaos, porgendogli una coppa di abbardente.
La vecchia donna si portò alle labbra l’acqua di fuoco contenuta nella coppa e inclinando la testa all’indietro si rovesciò in gola tutto il contenuto prima di rispondere :<E chi vuoi che possa essere stato? Vedi fra noi un uomo rimasto vivo? O una donna che non pianga qualcuno? Sono stati sicuramente quei fenici ad attirare qui quell’orda selvaggia. Non mi sono mai piaciuti i fenici O´ Su Meri, gente senza patria e famiglia, lo dicevo a mio marito di non fidarsi>, e nominando il marito ricominciò a piangere.
Llolaos guardò Coghinas che aveva seguito l’intera conversazione. Gli sembrò che tagliasse con ancora più decisione le strisce di carne dal bue, gli rivolse un cenno come a chiedergli se aveva sentito. Coghinas scosse la testa affermativamente traendo un lungo sospiro.
Non se la sentirono di partire, lasciando sole le donne. Si stesero vicino al fuoco e dormirono uno accanto all’altro, mentre Abealzu e Pheleo si giocavano alla murra i turni di guardia più faticosi.


Capitolo II

Il mattino successivo, come a lavare quell’ infamia, si mise a piovere copiosamente, mentre Abealzu e Pheleo preparavano i cavalli, Cochinas e Llolaos si attardavano, con le donne riunite, nella casa del capo bidda.
<Nannai, ti prego di prendere la tua gente, raccogliere le vostre cose e seguirci a Caralis> disse Coghinas mentre addentava un pezzo abbondante di pecorino.
<O su Meri, t’arrengraziu, ma il mio povero marito e sepolto qui, questa e la mia casa, qui sono nata e qui voglio morire, ma non fermerò le donne che vorranno seguirti, avranno anzi la mia benedizione, perché qui senza uomini non avranno futuro>.
<Vecchia testarda, avrei voglia di darti una botta in testa e portarti via di peso>.
<Dovrai farti aiutare dai tuoi scagnozzi allora, Mio signore, perché ti assicuro che nonostante la tua mole non riuscirai a trascinarmi via>, ribatté la donna con un severo cipiglio e le mani serrate a pugno sui fianchi.
<Ma come farai tu e le altre povere disgraziate che rimarranno qui con te ?>, chiese Coghinas.
<Come abbiamo sempre fatto, lavorando duro, ed ora invece di parlare O Su Meri, finisci di mangiare, altrimenti il pistoccu si raffredda>, rispose la donna in tono acido atto a frenare qualsiasi altro tentativo da parte di Coghinas.
<Come vuoi Nannai, ti invieró un drappello che sorvegli sul vostro villaggio allora>, disse Coghinas con un tono che non ammetteva repliche.
Quindi si alzó e a passo deciso raggiunse il suo cavallo, quasi con rabbia o forse con un flebile senso di impotenza spronò il suo destriero guadagnando l´uscita del villaggio seguito da Llolaos, mentre Abealzu e Pheleo organizzavano la colonna delle donne che si apprestavano ad abbandonare il villaggio.
Dopo circa un ora la colonna era pronta alla marcia verso Karalis, e a Pheleo non sfuggirono gli sguardi complici tra Abealzu e una delle giovani donne. Sorrise al significativo gesto che confermó quanto egli giá sapeva: la speranza si accende sempre nelle ceneri delle piú grandi tragedie.

COSTANTINO LONGU FRANCESCHINO SATTA POESIAS SARDAS CONTOS POESIE IN LINGUA ITALIANA