Il volontario silenzio
di Marco Managò - Roma

 

 

Ho un collega di lavoro decisamente schivo di carattere, un ragazzo del sud, decisamente atipico vista la sua provenienza e la proverbiale dinamicità, fisica e verbale, dei conterranei.
Nessun brio particolare in lui, semmai una riservatezza profonda che sconfinava in una sorta di latente indifferenza. Nutrivo stima verso la sua persona, pur non conoscendolo bene e non parlandoci quotidianamente. La sua timidezza e i suoi silenzi, a volte, inibivano i miei tentativi di approcciare discorsi di circostanza tantomeno quelli
più approfonditi.
Professionalmente si distingueva, senza clamori o enfasi tipiche di altri nostri colleghi, per la concretezza e per la disponibilità a risolvere problemi o dubbi lavorativi. Il suo curriculum si era arricchito anche di un titolo importante, quello di ingegnere, raggiunto nonostante l’impegno lavorativo quotidiano non indifferente.
Ingegnere... un tipo pragmatico, tecnico, legato a un ineluttabile materialismo moderno; freddo, preciso, poco incline alle sfaccettature e ai rivoli del sentimento. Questo poteva essere lo stereotipo più prossimo al mio collega.
Alcuni periodi dell’anno si allontanava dall’ufficio, per settimane, senza avvertire la stragrande maggioranza dei suoi colleghi.
I colleghi... c’è chi ti narra per filo e per segno anche le proprie informazioni più intime e non richieste. Lui preferiva confidarsi con poche persone. Io non ero tra quelle e, infatti, d’improvviso notavo la sua mancanza e mi chiedevo dove fosse andato per tutti quei giorni.
Era una mia semplice curiosità, non pretendevo certamente di invadere la sua sfera personale, tant’è che non ponevo domande ai colleghi che ritenevo gli fossero più vicini; immaginavo che ottenesse delle aspettative dal nostro ente per curare la propria professionalità tecnica e per incrementare studi e curriculum.
Quando il lavoro in ufficio è considerevole, ti impedisce anche di approfondire le relazioni sociali più naturali e ti distrae da confidenze e racconti che potrebbero contribuire ad accrescere la personalità. Il lavoro rischia così di trascinarti in un budello di pregnante superficialità nei confronti del prossimo di turno, il collega, e conseguentemente verso il prossimo poco più distante, quello della società che ti è intorno, e quello ancora più lontano, il disagiato, il povero, il disabile.
Mi fa rabbia ammettere queste parole e scriverle, perché anche se non affogato completamente in questo isterico vortice di scadenze, pratiche e burocrazia, rimanevo colpito dall’altrui totale asservimento e dal mio parziale tentativo di dar valore agli altri aspetti della vita. Era questo solo uno fra i milioni di casi simili in un paese come il nostro, distratto da ingannevoli messaggi pubblicitari, dall’ossessione dell’esteriore,
stordito dai telefoni cellulari, dalle stupidaggini televisive e dai capricci dei calciatori miliardari.
E l’ingegnere? Lui sembrava poco disturbato da quel caos lavorativo, chissà... forse estremamente ed esclusivamente interessato ai propri sviluppi professionali esterni o forse rinfrancato da quelle sue pause lavorative di alcune settimane.
E il progresso martellante e fuorviante, la tecnologia che distrae e seduce nel suo glaciale materialismo, cui si accompagna l’inevitabile e magmatico consumismo? L’ingegnere sembrava, col suo titolo di studio, esserne uno degli adepti più fedeli, uno che aveva puntato il suo futuro sul progresso tecnologico.
Un giorno in ufficio mi giungeva, inaspettato, un messaggio di posta elettronica, inviato proprio dall’ingegnere. Non ero l’unico destinatario di quel messaggio bensì era rivolto a una moltitudine di indirizzi di posta elettronica. Nel testo il mio collega avvertiva di essersi appena collocato in aspettativa e di essere pronto, da lì a pochissimi giorni, a partire per la sua periodica missione di volontario in India; chiedeva, altresì, che chi volesse donare qualcosa per la povera gente indiana lo facesse in fretta prima della sua partenza.
La sorpresa era totale. Ecco cosa si nascondeva dietro le assenze di questo collega: l’attività più nobile, quella del volontario, per giunta in un paese lontano, dove il volontario è tale per tutta la giornata, non per alcune ore, senza retribuzione, rinunciando a quella del nostro ufficio.
La discrezione del mio collega era veramente notevole, al punto da nascondere questa generosa attività. Vallo a spiegare ai tanti personaggi famosi, ai VIP che sbandierano ai quattro venti il loro impegno sociale consistente nel cedere un proprio cimelio per raccogliere fondi!
L’e-mail che mi era giunta era la più importante che mi fosse arrivata negli ultimi tempi, a differenza di quegli stupidi messaggi che ci scambiamo quotidianamente utilizzando Internet, o quei martellanti (e spesso disgustosi) messaggi pubblicitari che invadono le nostre caselle di posta elettronica.
Il mio collega sarebbe tornato tre mesi dopo, dimagrito di qualche chilo, tra il saluto poco più accorato del solito da parte della maggioranza degli altri colleghi, ben più interessati al quotidiano nevrotico svolgimento di pratiche e incartamenti.
L’insegnamento espresso dal discreto comportamento del mio collega era veramente di alta levatura. Mi preparava, innanzi tutto, a non generalizzare, a considerare che dietro un’apparente figura o titolo c’è una persona, e sì perché l’apparenza inganna veramente, seduce e stordisce il mondo moderno, ma non possiede l’uomo realmente probo.
Dietro colui che può sembrare un figlio del nostro sistema moderno può nascondersi un missionario della bontà e, viceversa, nel volontario più strombazzante si può nascondere un interesse poco nobile. La discrezione è virtù assai da lodare, forse in questo caso da limitare, se non altro per una sorta di buona pubblicità, di coinvolgimento di altre coscienze forse solo intorpidite e pronte invece a scatenarsi in una sana emulazione.
Ci descriveva le sofferenze della povera gente indiana e ce ne rendeva partecipi, lui sì che le aveva vissute e ne portava anche i segni nel fisico molto esile e negli occhi provati. Lo sguardo era però quello di chi era pronto a tornare di nuovo in India, anche il giorno dopo, tra quella gente per nulla inebetita da progresso, tecnologia e burocrazia.
L’uomo agisce per un naturale senso di egoismo, di soddisfacimento dei propri bisogni, da quelli più vitali a quelli più superflui; è nella natura umana. Lo stesso uomo deve però ricordarsi che la propria azione non è riconducibile esclusivamente al tornaconto personale, che ci può essere un’azione mossa anche dalla gratuità del gesto stesso. Si può vivere anche per un ideale, per contribuire a soddisfare i bisogni di chi ti è accanto.
La gratuità del gesto... quale motto è più alto di questo, del muoversi nell’assoluta dedizione a un gesto a fondo perduto, dal quale ricavare “solo” il sorriso di un bimbo prima in difficoltà.
Caro collega ti formulo la mia più grande ammirazione. Complimenti. E io che ti credevo in una sala ipertecnologica di un’assetata multinazionale, tra telefoni cellulari, cravatte, doppio petto e ventiquattrore di pelle. Invece ti trovavi tra case approssimate, tra vicoli senza cemento e gente semplice ammantata di candide vesti bianche.
Complimenti, perché la voce e le urla di quella povera gente entravano prepotentemente nelle mie orecchie, quanto più forti di un martellante messaggio pubblicitario, forse perché accompagnate dal tuo discreto silenzio e da quelle tue poche e misurate parole, frutto di musica lontana, di genti lontane, di un altro modo di vivere.
Complimenti al benefattore venuto da lontano, a colui che non vende fumo né fucili, armato della gloria e della gioia della vita, anche di quella che in Occidente può apparire di basso prezzo. E, invece, ha l’alto prezzo di chi non monetizza miseria e dolore, ma attende per un anno intero il regalo più bello: l’arrivo dell’angelo, l’ingegnere che dal suo aereo piomba sugli amici impazienti. Il tributo più grande a chi porta negli occhi lo sguardo dei bambini felici, del suo arrivo, delle sue attenzioni, dei giocattoli scartati dai nostri bambini viziati per portarli a chi ne ha visti pochi.
L’omaggio più sentito a chi, quindi, abituato a studiare dati, numeri e calcoli, della propria vita non ha fatto un calcolo personale.
Grazie Michele.

…ma attende per un anno intero il regalo più bello:
l’arrivo dell’angelo, l’ingegnere che dal suo aereo piomba
sugli amici impazienti.

 

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