La Notizia/////////////////////////
///////////////////////di Paolo Pulina

 

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Giovanni Lilliu, sommo archeologo, ma anche osservatore
e protagonista della politica e della cultura della Sardegna

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La severità e il rigore del prof. Giovanni Lilliu, docente di Archeologia nella Facoltà di Lettere dell’Università di Cagliari, erano direttamente noti, nell’anno accademico 1965-1966, a mia cugina Lillina Fiori, che a me studente liceale raccontava – con ammirazione mista a terrore – della precisione che il Professore chiedeva ai suoi laureandi e di come lei tremava ogni volta che doveva riferire dei suoi rilievi nelle campagne di Ploaghe per la tesi che aveva per titolo “Le antichità di Ploaghe nelle opere di Giovanni Spano ed oggi”.
Personalmente cominciai a familiarizzare con il rigore e il metodo di analisi del prof. Lilliu leggendo nel corso del 1968 (mentre ero “matricola” di Lettere nell’Università Statale di Milano) i suoi contributi sulle pagine della rivista sassarese “Autonomia cronache” (di cui era direttore responsabile Manlio Brigaglia).
In essi, da studioso cattolico impegnato nel politico e nel sociale, Lilliu scrisse: 1) di interazione tra cultura e politica nel quadro della “questione sarda” seguendo una relazione tenuta nel settembre 1967 al Rifugio “La Madonnina” di Santulussurgiu ad un corso di formazione per giovani; 2) di “degradazione storica della società barbaricina” (cioè il passaggio “da una società effettivamente esistita, come tale, alle origini, a una società, come tale, oggi dissoltasi ed effettivamente inesistente”); 3) della “rivoluzione degli studenti”. Tutti e tre i temi non potevano non interessare un giovane studente universitario che, lasciate le tranquille aule del Liceo classico “Azuni” di Sassari, pur immerso nelle movimentate assemblee milanesi di Via Festa del Perdono, non aveva intenzione di recidere i legami con le tematiche sarde; anzi: la lettura delle opere di Gramsci aiutava a conoscerle meglio e a collocarle nel quadro della più vasta “quistione meridionale”.
Lilliu, da consigliere regionale DC dal 1969 al 1974, pronunciò in Consiglio notevoli discorsi (penso al suo intervento del 9 aprile 1969, dal titolo “Dove va l’autonomia”, pubblicato da Fossataro, con l’invito a considerare anche «i campanelli d’allarme» provenienti dal mondo della contestazione giovanile, che guarda «con indifferenza, per non dire noia, verso il tema autonomistico») ma il suo nome è legato in maniera indissolubile al saggio del 1971 che nel titolo sintetizzava efficacemente la sua teoria interpretativa della storia sarda, cioè «la costante resistenziale sarda»: «La Sardegna, in ogni tempo, ha avuto uno strano marchio storico: quello di essere stata sempre dominata (in qualche modo ancora oggi), ma di avere sempre resistito. Un’isola sulla quale è calata per i secoli la mano oppressiva del colonizzatore, a cui ha opposto, sistematicamente, il graffio della resistenza. Perciò, i Sardi hanno avuto l’aggressione di integrazioni di ogni specie ma, nonostante, sono riusciti a conservarsi sempre se stessi. Nella confusione etnica e culturale che li ha inondati per millenni sono riemersi, costantemente, nella fedeltà alle origini autentiche e pure». (Si veda G. Lilliu, La costante resistenziale sarda, a cura di Antonello Mattone, Nuoro, Ilisso, 2002).
Da Milano potei seguire ben poco gli articoli giornalistici di Lilliu apparsi sul quotidiano “L’Unione Sarda” a partire dal 1974, su temi che – peraltro (come ho scoperto leggendo i due volumi intitolati Cultura & Culture. Storia e problemi della Sardegna negli scritti giornalistici di Giovanni Lilliu, a cura di Alberto Moravetti, prefazione di Manlio Brigaglia, 2 volumi di complessive 900 pagine, edite da Carlo Delfino nel 1995) – ben si sarebbero legati ai miei interessi professionali di funzionario dal 1977 dell’Assessorato alla cultura della Provincia di Pavia attivo nel campo dell’organizzazione culturale territoriale (conservazione e valorizzazione dei beni culturali; costruzione dei sistemi bibliotecari e museali; pubblicazioni mirate al rafforzamento dell’identità culturale locale).
Lilliu in persona si appalesò proprio a Pavia, sabato 22 giugno 1985, in una affollata conferenza, nell'Aula del Rivellino del Castello Visconteo, sul tema “All’alba della civiltà nuragica: un itinerario tra i nuraghi della Sardegna alla scoperta di una civiltà”, con proiezione di diapositive. L’evento, organizzato dal Circolo culturale sardo “Logudoro” di Pavia, allora presieduto da Filippo Soggiu e di cui era responsabile culturale Gesuino Piga, si era reso possibile proprio grazie all’amicizia di Piga (allora direttore amministrativo dell’Università di Pavia) con il Professore, amicizia nata e cresciuta nell’Ateneo cagliaritano. Ho parlato di “evento” non a caso: interrogando la collezione digitalizzata de “Il Messaggero Sardo” dal maggio 1969 al dicembre 2010, Lilliu, presso le associazioni degli emigrati, risulta protagonista unicamente di un convegno nazionale sulla cultura sarda presso il circolo “ADIS Quattromori” di Torino allora presieduto da Jade Corda (cfr. “Il Messaggero Sardo”, maggio 1991). In quell’occasione Lilliu si soffermò sulle questioni della lingua, “elemento fondamentale dell’identità”, e in particolare sulla necessità che l’uso della lingua sarda non fosse limitato all’ambito familiare e che la Regione intervenisse con un’apposita legge per introdurre l’insegnamento della limba nelle scuole.
Lilliu fu tra gli intellettuali sardi (insieme a Manlio Brigaglia, Bachisio Bandinu, Paolo Pillonca, Nicola Tanda) che firmarono l’appello in difesa della legittimità costituzionale della proposta di legge su “Tutela e valorizzazione della lingua e cultura sarda” più volte rinviata dal Governo alla Corte costituzionale nel corso degli anni 1993-1994 e poi dichiarata “illegittima”. Questo appello, su sollecitazione della FASI e dei Circoli ad essa aggregati, fu firmato da molti emigrati e si giunse così al convegno di Milano del 10 dicembre 1994 “Autonomia, Cultura, Lingua sarda nell’Italia del federalismo, nell’Europa della regioni”, organizzato dalla FASI, che ha curato anche la pubblicazione degli Atti, nei quali, alle pagine 106-108, il pensiero di Lilliu sulla materia è riassunto da Paolo Pillonca tramite le domande e le risposte in sardo di un suo “arrejonu cun Juanne Lilliu”.
Venerdì 9 giugno 2000: a metà mattina, a Nuoro, una comitiva di sardi e lombardi, nel quadro del gemellaggio tra Santa Giuletta (PV) e Mores (SS), sta per iniziare la visita dell’Istituto Superiore Regionale Etnografico (ISRE) della Sardegna. Vedo che dietro di noi è comparso un “ometto” che non esito a riconoscere: è il prof. Giovanni Lilliu, che non si sottrae alla gentilezza di scambiare due parole con gli ospiti venuti da lontano, anche se – come specificò – era lì non per doveri burocratici ma per l’urgenza di completare delle ricerche in biblioteca.
Il Professore non ha mai smesso di studiare, così come Giovanni Spano, del quale ha scritto: «Come succede, alla chiaroveggenza dello studioso non mancarono gli errori. Uno fu quello di non aver avvertito la falsità delle cosiddette “Pergamene d’Arborea”. […] L’altro errore fu di non avere riconosciuto la falsità dei cosiddetti idoli “sardo-fenici” […]. Ma dobbiamo valutare lo Spano al di là di queste défaillances, cogliendo di lui il positivo, valutarlo soprattutto come maestro di vita e di amor patrio, dico amore per la Sardegna» (“G. Spano e l’archeologia sarda” in Paolo Pulina e Salvatore Tola, Il tesoro del canonico. Vita, opere e virtù di Giovanni Spano,1803-1878, Sassari, Carlo Delfino, 2005, cfr. pp. 53-61).
Grazie prof. Lilliu, Sardus Pater e Maestro di Sardità.
(23-02-2012)