La neve: memoria e storia di 75 anni
di Ange de Clermont

Foto di F. Casu

Da ragazzo, anni 1937-1947, sono innumerevoli i ricordi della neve. Credo che nel quartiere della Niera, che vuol dire Ghiacciaia, la neve si fermasse non solo d’estate nei depositi, ma era presente spesso in inverno, probabilmente nel giorno stesso della mia nascita il 10 gennaio. Chissà se i miei padrini, Francesca Truddaiu e Sebastiano Tedde, mi portarono con mio nonno materno a battezzarmi il giorno 12 ,camminando sulla neve. Mio padre, mi dicono le carte, era già a Cadice, in lotta con i rojos, mia madre probabilmente fresca puerpera sarà rimasta a casa. Io naturalmente non ricordo nulla a due giorni dalla nascita. Fatto sta che che per tutta la vita, 75 anni non son pochi, davanti alla neve sono stato sempre fortemente euforico. Da bambino, in via Garibaldi, era un divertimento prenderci a bocce di neve ed era una delizia, la mattina, buttare giù dalle tegole, i ghiaccioli pendenti e leccarli adagio adagio come gelati.
Ricordo di qualche caduta sulla neve, ma il naturale riso sgangherato dei compagni mi costringeva ad essere veloce nel rialzarmi. Insomma, per farla breve sulla mia infanzia, la neve me la sono goduta, soprattutto a letto. I genitori, visto il freddo, c’infilavano nel letto caldo e si bivaccava lì finchè la neve non se ne fosse andata.
A 14 anni trascorsi, un anno tra Scarnafigi, Saluzzo e Cuneo, in Piemonte, per la verità la neve mi venne anche a noia: non lasciò il cortile in forma ghiacciata se non ai primi di giugno; fu l’anno dell’alluvione e dei disastri specie nei pressi di Rovigo. Tornai a Sassari nel 1952, altro anno di neve e pupazzi e bocce con i compagni del seminario minore di Sassari, poi passammo direttamente al 1956 per rivedere la signora Neve, che si trattenne per un pò lì nella pianura aversana dove mi trovavo per compiere gli studi filosofici e liceali. La neve non aveva fretta d’andar via e noi avevamo voglia di frutta. Ricordo d’aver posato per una bella fotografia, che conservo ancora, di quel periodo. Rientrato nel 1959 nell’isola, ebbi modo di darmi agli studi universitari e d’insegnare, di veder nascere e crescere tre figli, e giusto dopo la nascita del terzo figlio, mentre trascorrevamo le vacanze a Chiaramonti e stavamo per accingerci a partire per Sassari, eccoti la signora Neve. Non la presi sul serio e con la mia 500 nuova di zecca partii per Sassari nonostante molti compaesani mi sconsigliassero, ma io, sempre avventuroso in questi frangenti, partii lo stesso. Era uno spettacolo incantevole. Le colline tra Chiaramonti e Ploaghe si coprivano di bianco, i ragazzi facevano in macchina una gran buriana ed io ero più euforico di loro. Le strade si allargavano che era un piacere percorrerle, se non che erano tanto larghe che ad un certo punto ci ritrovammo con la macchino in posizione sghemba dentro una cunetta. Sarebbe stato un problema se non fossi stato seguito da altri due provvidenziali compaesani nella loro macchine. Ridendo a crepapelle , con con loro scendemmo in cunetta e risollevammo le sorti della nostra splendida 500. Diventai più prudente fino a Scala di Giocca dove pareva si celebrasse la sagra della neve. Il consiglio di tutti era quello di fermarmi, di starmene buono lì, ai piedi della Scala, che i pompieri avrebbero fatto di tutto per ripulirla. I pompieri sanno spegnere certamente le fiamme, ma in quanto a ripulire dalla neve una delle Scale più panoramiche dell’Isola, si rivelarono d’una inesperienza paurosa. Continuavano a rovesciare acqua sulla neve e a creare un tale caos che c’era da mettersi le mani nei capelli e basta. Come di consueto, spericolato, non accettai consigli, e con moglie e figli piccoli infreddoliti, comincio ad arrancare per Scala di Giocca, a sorpassare macchime messe traversoni, a fermarmi e a soccorrere delle colleghe impantanate che non riuscivano più a procedere e poi, via zigzagando verso gli ultimi tornanti, anzi al penultimo tornante, nella curva, i pompieri, gestivano una pompa enorme e gettavano acqua, per evitarli entro direttamente in mezzo all’erba di una curva, e letteralmente spingo a tutto motore, per superare direttamente la curva del tornante che bloccava tutto e tutti. Con l’ultima prodezza, passando tra macchine con gli occupanti che urlavano per le mie manovre, riesco a raggiungere la Madonnina. La scalata spericolata, allucinante, pazzesca, ma fortunata era iniziata e si era conclusa in un’ora. Giungiamo a casa, lascio madre e figli ancora in euforia per la conquista della Scala, e mi chiudo nello studio per scrivere nella mia Olivetti 32 la cronaca del giorno, alle 16,oo consegno la cronaca spassosa al capo redattore della quarta pagina, quella cittadina, della Nuova Sardegna e l’indomani, comprato il giornale, potemmo leggere della fortunosa avventura della neve. Gran festa e numerose telefonate e complimenti dagli amici.
Per tanti anni silenzio della neve, finché non decidemmo di affrontarla, mi pare nell’82, direttamente a Entraque, in Piemonte. Misi per la prima volta gli sci e via a rompicollo verso la pista del paese. Ero davvero impazzito, caddi due volte, mi rialzai, misi a posto gli sci e mentre mia moglie sui tornanti cercava di gridarmi di fermarmi io volteggiavo come un folle sulla neve. Era così bello lasciarsi portare dagli sci, evitai a stento di sbattermi a qualche conifera, e raggiunsi il fine pista nel paesetto. L’euforia a mille, mentre mia moglie che mi raggiunse in macchina mi toccò le spalle, sussurrandomi:
-Solo per miracolo sei ancora intero, io dico che tu sei matto da legare!-
Non l’ascoltavo, sorridevo per l’impresa, ero convinto d’esser nato sciatore anche se un pò sgangherato.

Foto di Sonia Ledda

(10-02-2012)

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